SULLA  MONTAGNA 

Toponimi della parte "di montagna" del paese. Si è pensato di presentarli non in ordine alfabetico, ma secondo un altro criterio, cioè nell'ordine con cui si incontravano le località risalendo la Strada Bàssa e la Strada Alta, quando queste avevano l'antica forma di mulattiera: vedere la mappa con i punti associati alle località. Naturalmente non ci siamo fermati dove finiva la Strada Bàssa, ma siamo saliti fino in in Colàlt , sullo spartiacque. I luoghi più vicini al paese, attraversati dalle Strade de montagna, sono stati già descritti in altra pagina.
Come per i nomi dei luoghi alla periferia del paese, Valentina spiega le caratteristiche per i toponimi individuati.

 

Lungo la Strada Bassa e zone da essa accessibili


1) Le Boschéte. A monte della vecchia mulattiera, ove essa è ancora intatta. Bosco "stentato", in prevalenza di carpino nero, su terreno poco profondo e strati di biancone affioranti.
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2)   La Madonéta. Grosso masso di scaglia rossa, recante in cima un'immagine della Madonna. Si trova a fianco della mulattiera, ed è stato spinto fin qua dal ghiacciaio della Val Cismon: nella zona di Moline, e più in alto verso Sovramonte, sono presenti spessi strati di questo tipo di roccia.
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2b) El Tàoro. Tratto di mulattiera assai ripido e piuttosto lungo (circa 400m). Vera sofferenza per chi saliva al monte per legna, con la slitta sulle spalle. 
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3)   Val dei Còrn. In cima al Tàoro uno strato d'argilla porta in superficie l'acqua, soprattutto dopo piogge copiose; e quest'acqua si raccoglie nella Val dei Còrn, alimentata anche dai detriti di una grande frana: il tutto finisce nel Biotìs un centinaio di metri a monte dell'ultima briglia sul torrente.
 
Forse da corn/corno o corona: nel senso di sporgenza della roccia.

 
4)   I Vané. Un tempo prato -non ampio ma ben sviluppato in lunghezza- a monte della strada sull'ultimo tratto del Tàoro; il prato arrivava praticamente fino alla Strada Alta.

Caratteristica particolare: il posto delle fate. Nome forse derivato da appellativi comuni, attraverso metafore, specie oggetti di uso comune nella vita tradizionale dei montanari.

 


5)   Pra de Gnòlo. Prato con casera (ora in rovina) a valle della strada

Antropotoponimo: allude al proprietario o a chi fa uso di un prato, appezzamento di terreno.

6)   La Còsta. Dopo l'ultimo strappo del Tàoro la strada diviene meno ripida, poi quasi pianeggiante: a monte della strada i prati, allora normalmente falciati, arrivavano fino al successivo costone: c'era fieno per due belle mede. Fino a una trentina d'anni fa il prato, oggi sostituito da un fitto bosco di carpino, si spingeva in alto fino a una rupe verticale: in questa zona è stato determinato l'epicentro della scossa più intensa (magnitudo 5,25) del terremoto che nel luglio del 1943 interessò i nostri paesi. Nell'archivio dei terremoti italiani al sisma -vedi immagine- viene associata la località Valdobbiadene, ma latitudine e longitudine individuano questo punto che dista da Porcen, in linea d'aria, poco più di 1km. Donato ha fornito delle informazioni interessanti sull'evento. Si trovava sui Giàff (poco sopra l'epicentro della vibrazione più violenta) al momento della prima forte scossa (23 luglio mattina): uscito dalla casera sentiva i Bìn (della famiglia Corso di Rasai) che dalla loro casèra, più in basso oltre il Biotìs, gridavano ai vicini: "senti senti via da quel'altra banda che rumόr": erano i macigni che, smossi dal sisma, precipitavano lungo i valloni, nell'altro versante, quello di Porcen, sul fianco destro del torrente. Per fortuna, data anche l'ora, nessuno dei paesani, che in quel periodo frequentavano numerosi la montagna per la raccolta del fieno, era al lavoro: stavano ancora nelle casere, costruite tutte in costa per garantirne una maggior sicurezza. Nel paese buona parte delle tegole e molti comignoli precipitarono dai tetti, e anche qualche muro portante rovinò (ad esempio quello della casa adiacente l'abitazione di Donato). "Una commissione, guidata dal Podestà Toni Bassani", riferisce sempre Donato, "passò per decidere gli interventi nei casi più gravi, nonostante i tempi estremamente difficili per l'Italia in quei momenti". Jijéto Munèr Cristi, allora ragazzo dodicenne, era in malga sui Pra de Tomàdech; racconta che crollò la casèra dei Boèmia (famiglia Villabruna di Tomo), a Est poco sotto la Fhìma, proprio mentre facevano il formaggio: "Se à anca schifhà la caliéra, e ghe à tocà gnér do da noi in prést" (Rimase pure schiacciata la caldaia, e dovettero venire da noi a chiederla a prestito); rovinò anche la casera di Gildo, in Colàlt

Geotoponimo: riprende le caratteristiche e le forme del terreno.
Si tratta di un caso particolare, dato che il toponimo avrebbe dato origine al cognome Costa.


7)   Val de Pont. Roccioso e ripidissimo boràl;  per superarlo senza rischio anche con le slitte, a valle venivano posti dei tronchi, anche per impedire che l'acqua abbondante del vallone asportasse la strada ad ogni temporale; di qui il nome.
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8)   Pian de perèr. Prato relativamente pianeggiante a valle della strada. Doveva esserci un albero di pere, ma io ricordo solo i susinèr che crescevano sulle rovine della casera; su queste è stata costruita, una trentina d'anni fa circa, una graziosa "casa di montagna" in pietra.

Fitotoponimo: nome che deriva dalle piante; in questo caso ‘perer’.


9)   Val dele Pile. Ripido roccioso valloncello.
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10)  Le Mόlfene. Prati e casoni (alcuni restaurati) più in basso: si può scendervi direttamente lungo il costone sinistro della Val dele Pile; ora esiste una strada camionabile che vi arriva e si stacca dalla principale in Pra de Gnòlo.
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11)  Le Pile. Oltre la Val dele Pile, a monte della strada: prato e bosco assai ripido, con rocce affioranti.

Geotoponimo:nome che descrive le caratteristiche geografiche del terreno, traslate da voci comuni del lessico [Marcato 2009].


12)  El Calierόn. Zona di convergenza dei valloni che scendono dall'arco M.Tomatico-M.Sassumà: caotica e di non facile accesso, profonda rispetto alle zone circostanti per le consistenti erosioni, nei periodi di piena rimbomba per il rumoreggiare delle acque, dando così l'impressione di un pentolone in ebollizione.

Geotoponimo:nome che descrive le caratteristiche del terreno,geografiche traslate da voci comuni del lessico. Si tratta di un termine che in linguistica viene definito ‘trasparente’.

N.b: ad esempio, un nome proprio come Monte Bianco in rapporto all’identificazione di un qualche ‘significato’ di tale nome per un parlante italiano di oggi data la possibilità che egli ha di associare il nome a elementi del vocabolario della lingua (Marcato 2009, p. 18).

 

13)  La Fhenaόra. Mulattiera (ora invasa dai cespugli), si staccava  a monte della via normale poco prima della Val del Fhén, congiunge questa alla Strada Bassa evitando il lungo salto che sovrasta l'intersezione della stessa valle con la strada. Il fieno raccolto nel versante Sud, dal Tomatico alle Jarìne, veniva fatto scendere lungo la valle innevata e poi sulla Fhenaόra: sull'incrocio tra questa e la Strada Bassa avveniva il trasbordo dei fàss de fhén sulle slitte, per proseguire fino al paese.
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14)  Val del Fhén. Il vallone col bacino più ampio tra quelli che confluiscono nel Calierόn a formare il Biotìs. Un suo ramo scende dalla cima del Tomatico, ove la vegetazione è assente; si formano quindi imponenti valanghe in occasione di nevicate consistenti. Solo piogge eccezionali vedono ruscellare acqua nel tratto a monte della Strada Bassa: la valle è percorsa da una faglia che ha provocato la formazione di grandi quantità di brecciame (jarìne) risultante dalla disgregazione del biancone, roccia prevalente nella parte alta del monte. Nella valle innevata veniva fatto scendere il fieno, prodotto anche nelle praterie del versante sud, con fhass legati l'uno all'altro a formare un "trenino"; sulla Fhenaόra veniva poi caricato sulle slitte. Di qui il nome della valle.
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15)  Piàn de Cuc. Tratto pianeggiante sul costone che separa dalla Val de Roàss, dove sorgeva la fhornàss in cui si cuocevano le pietre di calcare che "spente" davano la calce.

Zootoponimo: deriva da cuculo.


16)  Prafhesìl. Un sentiero (antico tracciato della Strada Bassa) scendeva dalla fhornàss de Cuc e poco oltre la Val de Roàss passava accanto a casόn e casèra di Prafhesìl. Lorenzo, mio nonno, vi trascorreva due mesi d'estate con le mucche, dopo essere passato dal  Bosch de la Fhior, poco sopra Porcen, dove le vacche consumavano parte del fieno prodotto l'anno precedente (il resto veniva consumato al ritorno da Prafhesìl, in autunno). In questo modo, spostando gli animali, si evitavano le fatiche relative a trasporto di fieno e letame; occorreva però che qualcuno risiedesse con gli animali per accudirli. Ecco allora che le famiglie numerose riuscivano a gestire queste attività, distribuendo i componenti sui vari "fronti" di lavoro. In Prafhesìl le ragazze (la più giovane era mia madre) provvedevano alla cura del bestiame, percorrevano sentieri impervi per raccogliere un po' d'erba tagliata con la messόra, andavano a prendere dell'acqua nella valle sopra 'l sàlt de 'Atila. Il padre e i figli maschi tagliavano il fieno e lo portavano, una volta secco, nel fienile.

Zootoponimo: animali presenti nella zona. Potrebbe essere definito un termine trasparente come Calierόn. Prafhesìl> prato delle rondini.


17)  Val de Roàss. Vallone che scende dalla cima a Ovest del M.Tomatico.

 Fitotoponimo:  deriva dalle piante presenti nella zona roe, rovi.

 

18)  Cròt del Pin e Val del Pin. Spuntone di roccia (cròt) a valle della strada; pochi metri prima si attraversa l'omonima profonda vallecola, da alcuni chiamata anche Val de la Maria Pìta. >

Antropotoponimo > deriva dal nome o soprannome del proprietario  del territorio. ‘Pin’ nome del bisnonno di Stefano.
 


19)  Saltedèl. Un dirupo con salto nella Val de Fherbotàna (Saltedèl=piccolo salto) ha dato il nome a tutta la zona circostante. L'ultima tratto della vecchia Strada Bassa terminava sopra questo salto.

Geotoponimo> termine che descrive il terreno circostante. E’ un termine locale.


20)  Val dela Caseròta. La vecchia Strada Bassa finiva nel punto in cui essa intersecava la grande Val de Fherbotàna; Questa risulta dalla confluenza di più valloni, uno dei quali (il più occidentale) anche in alto ha lo stesso nome (oltre che quello di Val Fhinàl). La Val dela Caseròta confluisce (da sinistra) nella Val de Fherbotàna immediatamente a monte del punto in cui la strada (ora camionabile) la attraversa e prende il nome da una località in cui passa. Prima della costruzione della nuova strada, per raggiungere varie zone si percorrevano sentieri che si dipartivano da questo punto; il più importante di essi portava in Fherbotàna e poi oltre, fino in Colàlt; di qui, continuando a est, si poteva arrivare al Tomàtico. Questa valle, pur con un bacino meno ampio rispetto alla Val Bèla e alla Val Fhinàl, è molto più ricca d'acqua in occasione di piogge intense.
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21)  La Caseròta. Fino a una decina d'anni fa reggeva ancora, anche se ormai cadente, la pendàna (casόn) a sfojaròi; accanto una casèra con mura e copertura in pietra. Attorno un prato non molto esteso: la struttura veniva impiegata per il pre e postalpeggio dal proprietario Giacomo "Zampasqua", che aveva una piccola malga sulle pendici del Col dei Cόnt nei Pra de Tomàdech.  La parola "Caseròta" sembra essere un diminutivo/vezzeggiativo di casèra. La strada presenta qui uno slargo (un moderno Cargadόr per camion) e una biforcazione: continuando dritti si va in Ferbotàna e poi verso il Tomàtico; girando a sinistra si percorre una strada priva di forti pendenze, non asfaltata, che serve la parte orientale della montagna porcenese, e si ricollega alla via principale in cima al Tàoro.
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22)  La Salina. A Est della Caseròta, sul medesimo livello, c'era un altro prato con casèra, caratterizzato da un nome che stimola la curiosità.
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23)  Fherbotàna. Bel prato con una interessante ampia casèra, a meno di 1 km dalla Caseròta; una strada si stacca a valle della via principale, e porta nei pressi della casèra. Davanti a questa maestosi frassini e ciliegi. Prima dell'apertura della camionabile il sentiero che risaliva i fianchi dei valloni passava vicino alla sorgente perenne più nota della montagna porcenese, "la vena de Fherbotàna", duecento metri circa a valle dell'edificio. L'acqua, raccolta in una canaletta, cadeva poi in una  piccola "fossa" popolata da girini, tritoni, salamandre, rane, bisce d'acqua. Gli anziani raccomandavano ai ragazzini di non bere avidamente, nelle calde giornate estive, l'acqua di questa vena perché molto fredda; e di bagnarsi a lungo polsi braccia fronte in modo da preparare il corpo alla ...freddura. Nelle rigide giornate invernali l'acqua della fonte sembrava invece stranamente tiepida. Si tratta di una vena fonda (che esce da notevole profondità) con una temperatura propria quasi costante, poco sensibile alla temperatura dell'ambiente esterno. La copertura della lunga casèra era stata progettata e realizzata dal proprietario Bèpi Jùsche, esperto carpentiere ma soprattutto scultore del legno, un autentico artista anche nel comportamento. Bèpi non voleva assolutamente " firmare" le sue opere, insisteva per non ricevere denaro dalle persone cui le donava. In Fherbotàna accadde il simpatico episodio qui raccontato.
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24)  Val dei Péfh. Vallone nel cui bacino ampie zone sono coperte da foreste di péf (peccio o abete rosso). Termina sulla dorsale tra casera Gàvit e Colàlt. La strada interseca il vallone proprio sotto un salto verticale di 5/6 metri.
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25)  Val Bèla. Vallone che nella parte più alta si allarga, privo di salti e asperità. Arriva al M. Santo (m.1538), la seconda cima per altezza nell'arco Tomatico-Sassumà, e la più a Sud .
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26)  Val de Fherbotàna. Valle a oriente del prato e della casera omonima, detta anche Val Fhinàl.
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27)  Casèra Colàlt. Restano ormai pochi avanzi delle rovine della casera, che si trovava immediatamente a nord dello spartiacque, su un tozzo rilievo a oriente del M. Santo. La casera fu distrutta dal terremoto del luglio 1943.
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28)  Còl de Gaio. (m.1418). Rilievo appena accennato, proprio nel punto in cui ci si aspetta il punto più basso del crinale, sulla testata della Val Sassumà (a Sud) e della Val de Garé (Nord). Sul crinale, a Ovest della collinetta, inizia la lunga lieve salita che conduce a quota 1510 sulla cima di M. Sassumà (video che descrive la salita al Monte Sassumà su YouTube: https://youtu.be/CsvSoWXR2cY).
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29)  El Pagnòc. Dal costone tra le valli del Fhén e de Roàss emerge, a quota 1130m, un gruppo di rupi che richiama l'idea di un enorme castello diroccato. Le pietre risultanti dallo sgretolamento finiscono nella Val de Roàss, e un tempo venivano raccolte da Toni Cùcc e cotte nella fornace.                
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Lungo la Strada Alta e zone da essa accessibili
(La "Strada Alta" coincideva con il tratto iniziale dell'Alta via degli eroi da Porcen al Cargadόr-Tomatico)
 

1)  Tèla. Ultimo rilievo nel contrafforte che dal Tomatico scende verso Nord Ovest, confine tra il bacino del Rich e quello più esteso del Biotìs. Un tempo la sommità, in lievissima pendenza, era coperta di prati.
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2)  Pra dela Vàrda. In posizione panoramica, sul filo dello spartiacque, permette di ammirare il paesaggio da Sud a Ovest e a Nord. Vàrda da vardàr=guardare, per la bella vista che si ha da questa posizione.
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3)  Sant'Antòni. Su un tornante della ripida mulattiera, coperta e protetta dal codolà, una estesa pietra piatta recava al centro un disegno, nel quale era stata riconosciuta l'impronta lasciata dall'asinello di S. Antonio, che sarebbe passato di là nel viaggio di ritorno in Portogallo.
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4)  I Soldèr. Dopo un lungo tratto molto ripido (inizia poco oltre Tèla) sopra I Vané, la mulattiera diventa un po' meno ripida, ed entra in un versante con vista più chiusa sul vallone del Biotìs, tagliando una costa, un tempo prativa, molto ripida. Là dove la via attraversa l'impluvio successivo ai Soldèr, tracce di acqua che un tempo alimentavano una minuscola fossa. L'acqua quasi mai era limpida: uccelli e altri animaletti frequentavano la pozza, le cui acque diventavano tόrbide. Si trattava (assieme alla vicina fossa de Pra de Puìna dalla quale l'acqua arrivava) dell'unica presenza del prezioso liquido in un ampio raggio. Il luogo era noto come Al Fontanèl.
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5)  Pra de Puìna. A quota 1000 il contrafforte presenta un dente, una spianata di qualche decina di metri: così il luogo venne ritenuto idoneo, una volta eliminato il bosco, alla formazione di un prato e alla costruzione di casere. Fino a pochi anni fa c'era anche un enorme faggio, schiantato da un fortunale. L'acqua di una modesta sorgente alimentava una
fossa, dove era facile vedere anfibi, bisce d'acqua e altri rettili. La mulattiera rimane una cinquantina di metri più in basso (vi si può scendere mediante due sentieri), mentre la camionabile della montagna porcenese orientale (Còsta-Salìna) ha un tornante in corrispondenza dei pressi dell'antica casèra.
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5b) Pra de Mìo. Poco più in basso di Pra de Puìna, ma più ad Est, sul versante (verso Tomo) ora servito dalla camionabile non asfaltata; anche qui casera in pietra, riassestata. Il prato da tempo è stato conquistato dagli alberi.
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6)  I Giàfh. Nella valle prativa successiva al
Fontanèl c'era, vicina alla strada, una casera, comodo rifugio in caso di pioggia. A un robusto palo è rimasto fissato, per tanti anni, il filo a sbalzo che portava la legna alla Strada Bassa. Il nome Giàff (=ghiaccio) sembra essere una distorsione di Viàfh=sentieri (nel parlato quasi non si avverte la differenza); ed effettivamente qui abbiamo un incrocio di sentieri con la Strada Alta: uno sale alla casera di Pra de Puìna e continuava poi o in alto verso il Pìf o in basso (la Seràda) verso i Ronchedèi; l'altro si stacca a destra, più in basso della Strada Alta e quindi meno ripido (vedi più avanti Spilόnga). Il ghiaccio quindi non ha nulla a che fare col luogo.
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7)  Pra Coàt. Ben più in alto della mulattiera, sullo spartiacque del costone Tomàtico-Tèla, era raggiungibile grazie a un sentiero, mentre oggi è attraversato, nella parte più bassa, dalla camionabile. Riparata anche la casèra preesistente e consolidato il terreno adiacente. Grazie alla posizione, sul filo della costa, il panorama da
Pra Coàt è assai ampio.
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8)  Spilόnga. Esisteva una
pendàna a sfojaròi vicina alla casèra, qualche metro a valle della strada; tra le due costruzioni alcuni  alberi; uno di noce, fatto piuttosto raro vista l'altitudine del luogo (1130m), di dimensioni medie nonostante l'età (l'altitudine, col clima più freddo, riduce lo sviluppo); i ciliegi, invece, arrivano senza problemi anche a 1300m: da ragazzo ho mangiato ciliegie ai primi di settembre, alla malga Cristi sui Pra de Tomàdech. Il prato (oggi quasi per intero bosco di faggio)  attorno alle costruzioni, sia a monte che a valle della strada, era alquanto ripido. Più in basso altro casόn, cui si accede mediante ampio sentiero che si stacca dalla Strada Alta sulla destra, poco oltre i Giàfh. Tale via era percorsa dalle vacche che salivano alle malghe per la monticazione, per evitare alcuni passaggi con scalini poco sopra Spilόnga, pericolosi per gli animali ormai stanchi: le mucche, con le zampe doloranti per la distanza percorsa, tendevano a evitare gli scalini di pietra, portandosi sull'orlo erboso e morbido; questo poteva cedere, e il povero animale rotolava in basso e nella maggior parte dei casi il suo recupero era impossibile: lo si doveva macellare nel posto. Questa via erbosa e meno ripida, passava da Sarfhelàr e di là saliva a ricongiungersi alla mulattiera. Anche più in basso le mucche seguivano un percorso alternativo sulla Strada Bassa, per evitare parte del primo tratto assai aspro della Strada Alta. Nella discesa dalla malga -prima metà di settembre- veniva fatta una variazione nella parte medio-bassa del percorso: dopo il sentiero da Sarfhelàr ai Giàfh, passato l'incrocio con la Strada Alta, si risaliva in breve a Pra de Puìna per poi scendere ai Ronchedèi lungo la Grava dei Càrpen: ripida anche questa, ma priva delle asperità dei Vané e del Tàoro. Vedi qui i tratti alternativi.
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9)  I Nini. Il bosco di faggio e qualche peccio, preceduti dai cespugli di nocciolo, avanzano riducendo sempre più le zone prative, un tempo molto ampie, sulla parte alta del già citato costone che si stacca dal Tomatico. I prati erano raggiungibili mediante un ripido sentiero che si stacca dalla mulattiera sopra Sarfelàr, e venivano parte pascolati dalle vacche di malga
Sarfhelàr, parte sfalciati.
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9b) El Pìfh. Punto notevole sul contrafforte che dal Tomatico scende verso Nord-Ovest: nel tratto dalla
Fhìma al Pìfh la pendenza non è forte, oltre (Nìni, Pra Coàt,..., Tèla) si fa più marcata. Dal paese il Pìfh sembra la parte sommitale del rilievo, perché  copre alla vista tutta la parte posteriore, cosicché la cima del Tomatico rimane nascosta.
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10) Sarfhelàr. Era ampia la zona prativa sui valloni concorrenti nella
Val del Fhén, a valle della Strada Alta; vi erano due pendàne e casere. Camillo monticava nella malga di dimensioni maggiori, e portava le vacche al pascolo fin su nei Nini. Una piccola sorgente perenne alimentava la fossa in cui si abbeveravano gli animali. La vecchia casèra è stata recentemente restaurata.
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11) Part de la Césa. Estesa zona di ripidi prati in alto, a Nordovest della
Fhìma e giù fino al confine con Sarfhelàr, di proprietà della Chiesa. Per stabilire a chi assegnare il diritto di pascolare o falciare l'erba di questi prati, veniva indetta una gara e il banditore saliva sul Sàss dela Regola, nella piazza di Porcen, per assegnare tale diritto al miglior offerente.
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12) Pra Ma
όr. Dopo l'attraversamento del ramo di Val del Fén che scende dalla Fìma, un  lungo tratto di Strada Alta taglia la costa prima di arrivare al tornante, ove si staccava la strada per la vicina malga Stabìr e per Col Alt: tratto detto La òlta lόnga.  Circa a metà del tratto,la strada attraversava la parte inferiore di un prato, che si allargava verso l'alto fino a una casera: Pra Maόr. A maggio diventava completamente bianco, per la imponente fioritura dei narcisi. Pra Maόr era forse la zona più pericolosa per le mucche che salivano all'alpeggio: ormai sfinite e desiderose di mangiare un po' d'erba, si portavano sull'orlo erboso della mulattiera (naturalmente a valle) rischiando di rotolare sul ripido pendìo privo di alberi, che  avrebbero potuto trattenerle.
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                                                                                                                                       Stabìr 1994.   Malga Costesèle
                                                                                                                                                                            

13) Stabìr. Prato ancor oggi evidentissimo sul crinale a ovest della
Fhìma, per chi osserva dalla piana Rasài-Fonzaso ha forma rettangolare, e si spinge in basso, a Nord, incuneandosi tra i fitti boschi di faggio. Nella parte inferiore la casera che fu di Carléto Zacarìa (perse la vita per un malore sul sentiero che congiunge la Salìna a Stabìr, mentre vi si recava) più in alto la malga -pendàna a sfojaròi e casera- dei Costesèle, utilizzata ancora alla fine degli anni '50 da Isèo, col cafharòl Achille. Un maestoso faggio, a quasi  1500m, ombreggiava gli edifici. Anche dalla piana si nota il segno lasciato dall'apertura della camionabile, una traccia chiara perché la roccia di cui è costituita la parte sommitale della catena Tomatico-Grappa è il candido "biancone" o maiolica.  
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14) Dai Tòn. Piccola malga una decina di metri sotto il crinale, a Nord, tra
Stabìr e la Fhìma, (l'ultimo a condurre l'alpeggio fu Nani Scàja dei Tòn, col cafharòl Ildo), è stata recentemente recuperata e ristrutturata, ricavando una tipica costruzione di montagna che valorizza tutta la zona del Tomatico.
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15) El Cargadόr. Là dove la
Strada Alta finisce sullo spartiacque, una decina di metri dopo l'ultimo tornantino, e l'orizzonte si apre alla vista verso sud: con atmosfera limpida (evento assai raro, purtroppo) si ammira Venezia distinguendo chiaramente il Canal Grande. Il nome deriva dal fatto che il fieno prodotto nel versante Sud, i Pra de Tomàdech, portato su a spalla nei fhàss, qui veniva caricato sulle slitte per il trasporto in paese.
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15b) La Fhìma, La Cr
όss. La Cima, naturalmente quella del Tomatico, per i porcenesi la cima per antonomasia, a 1595 m. Se sali sulla croce a traliccio vai oltre i 1600! Per dire "vado sul Tomatico" in alternativa si diceva "vàe su sula Hìma", oppure "vàe su ala Crόss". Dal Tomatico impressionante vista sulla sottostante cittadina Feltre, e vasta panoramica sulle Dolomiti. Con atmosfera nitida, a sud, vista sul percorso del Piave fino alla foce; ben evidente anche Venezia col Canal Grande.
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16) I Ròdoi. Sul versante Sud opposto a
Stabìr, i prati scendono piuttosto ripidi verso Pradalόn: fino agli anni '50 quelli che non appartenevano alle malghe venivano sfalciati ed il fieno sistemato in méde, per essere poi portato a spalla al Cargadόr e di qui con la slitta al paese. I  ròdoi sono rotoli, naturalmente di fieno; nei terreni molto ripidi, quando si raccoglieva il fieno secco in cima al prato, se ne avvolgeva un po' in un piccolo rotolo, quindi lo si spingeva giù a mano o col rastrello: il rotolo avvolgeva altro fieno, e rapidamente raggiungeva dimensioni notevoli; non doveva però sfuggire al controllo, a meno che il prato ripido non avesse in fondo una zona pianeggiante: in questo caso il ròdol si arrestava da solo, altrimenti sarebbe sfuggito finendo nei valloni o nel bosco! Questo divertente modo di risparmiare un po' di fatica ha probabilmente dato il nome ai prati della zona.
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17) Le Jarìne. Più a occidente dei
Pra de Tomadech e dei Ròdoi il versante sud diviene più ripido, in certi tratti roccioso e coperto dai detriti delle rocce che si sbriciolano. Nonostante queste asperità, la "fame di foraggio" spingeva la gente che arrivava anche dal versante Nord (Porcen e Rasai) a tagliare i ciuffi d'erba col falcetto; l'erba veniva poi raccolta in contenitori di tela e portata a seccare nelle parti meno ripide. E' questa la zona chiamata Jarìne da jàra (ghiaia), i detriti risultanti dal facile sbrecciamento del biancone, la roccia tipica della zona sommitale della catena Tomatico-Grappa. Le Jarìne erano frequentate anche dai cercatori di chiocciole, quando il tempo si metteva a pioggia e impediva il  duro lavoro della fienagione: attività complementare, la raccolta delle chiocciole, che permetteva dei pasti gustosi e sostanziosi (polenta e s'cioss).
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18) Da Gàvit. Le
Jarìne stanno a Sud della parte centrale dell'arco Tomatico-Sassumà: qui la parte sommitale è sopra i 1500 m. per un buon tratto (1 km), con la cima del M. Santo (1538) a Ovest e ad oriente una cima (1535) da cui scende a Sud il contrafforte del M. Pàoda; a Nord di questa cima, a poche decine di metri dallo spartiacque, un tempo c'era casèra Gàvit, di cui ora rimangono solo macerie difficilmente riconoscibili perché ricoperte dalle piante dei lamponi e altri arbusti infestanti. Il sentiero che collega la zona del Cargadόr con le casère a Ovest (Bellavér, Gàvit, Colàlt e poi giù fino in Fherbotàna), nel settembre 1944 vide il passaggio di tedeschi e repubblichini impegnati nel rastrellamento dell'intero massiccio del Grappa. Avevano rapito un giovane, Càmo Gàvit, e lo costrinsero a guidare le truppe sui sentieri che portavano anche alla casèra della sua famiglia. Le persone usate in tal modo venivano eliminate prima della conclusione delle missioni, ma Càmo riuscì a fuggire. Un militare del gruppo, si dice del Trentino, informò il giovane della sua sorte e lo invitò a fuggire. Càmo, dal fondo della fila si buttò a valle sulla profonda scarpata, e si salvò grazie all'intervento (forse volutamente) ritardato del militare e alla perfetta conoscenza del territorio (Fonte: vox populi).   
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

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