Agri Coltura

Esisteva un ricchissimo vocabolario relativo al mondo che ruotava attorno all'agricoltura: per indicare gli strumenti, le tipologie di attività... La maggior parte di questi termini sono estinti o in via di estinzione, essendo da tempo esaurite le attività che ne giustificavano esistenza e uso

 

   -Sétu drìo far che?  

-Son drìo fharpìr 

Che cosa stai facendo? Sto potando le viti. "Son drìo" + verbo indica lo svolgersi di un'azione. Fharpìr significa potare,  in particolare le viti. Da questo termine deriva "Fharpiròla", nome associato a cincia e cinciarella, che col primo sole di marzo,  momento della potatura, emette il cinguettìo "farpì  farpì farpì..." interpretato come: "è arrivata la buona stagione: potate, potate, potate!   

 

La piantàda de vìtt

Il filare di viti; con piantàda si indica anche la fascia di prato compresa tra due filari, che a Rasai viene indicata con altro termine (el lètt), interessante per l'immagine che suggerisce: i due filari ai lati sarebbero le sponde rialzate del letto, il prato lenzuola e materasso

 

Dopo èr  fharpì le vìtt, ghe ól scalonàr e ligàr. E desb(v)anpolàr

Dopo la potatura delle viti, si devono sistemare i pali (palo=scalόn) e legare i tralci. E fare la potatura verde

 

I càu dele vìtt.   I b(v)ànpoi

I tralci delle viti. I tralci verdi

 

El sperón, i òci,  el refòss

Lo sperone, le gemme, la propaggine. Il primo è un tralcio molto breve, con due max tre gemme, con la funzione di rinnovare (una speranza!) il palco dei rami della vite, accorciandolo. Il refòss (propaggine) è adatto alla formazione di nuove piante di vite ricavate da un tralcio in parte interrato, in modo da ottenere l'emissione di radici dai òci finiti sotto terra. Dopo un anno o due il legame con la vite "madre" deve essere eliminato, e si può anche trapiantare la nuova vite.

 

Le tirèle

Viti allevate a pergola; tirèle sono i lunghi tralci quasi orizzontali fissati a fili di ferro, paralleli al filare, della pergola

 

Far i venfheèr co le venfhéi

Fare piccole fascine con i tralci potati delle viti; venivano utilizzati per accendere il fuoco

 

El manét dele sàche de saléff

Piccola fascina di rametti di salice, usati per legare i tralci ai fili di ferro (i rami più sottili), le viti ai tutori e al filo (quelli medi), i pali di sostegno del filare ai fili (i più robusti). Manèt forse perché la fascinella sta in una mano

 

 

Fharghe   el  brónt  ale  bót

Fare il "bront" alle botti. Il bront era un aromatico profumatissimo decotto ottenuto con l'ebollizione di foglie di pesco, ciliegio, pero, melo, susino assieme a qualche frutto autunnale, in particolare "per dale farpe" (pere di S. Martino?) e mele. Il decotto, ancor caldo, veniva quindi utilizzato per sciacquare l'interno delle botti, togliendo così le muffe causate dai resti del vino, spesso avariato, e prepararle ad accogliere il vin nuovo

 

Mèter fhóra le bót e le tine a stanfhàrse

Portar fuori botti e tini per bagnarli, in modo che le doghe gonfiate perché impregnate d'acqua garantiscano la tenuta. A inizio settembre i contenitori di legno venivano trasferiti dalle cantine alle strade del paese, sotto gli scarichi delle grondaie (i pissòtoi), in modo che l'acqua piovana realizzasse quello scopo. Se le precipitazioni mancavano, l'acqua per bagnare i tini veniva attinta alla fontana e portata ai contenitori con secchi e bigòl

 

Fholàr la ùa

Pigiare l'uva. Il lavoro veniva fatto a piedi nudi da un anziano esperto che si faceva talvolta aiutare da un ragazzino. I piedi cedevano al mosto sapori decisi e inconsueti, che poi la fermentazione riduceva. La pigiatura fu poi sostituita dall'uso della gràmola, contenitore a tramoggia nella cui parte inferiore due cilindri scanalati ruotano in senso opposto trascinando l'uva che passa tra i due e viene schiacciata

 

El vin gròss 

El vin pìfhol (el vin cèo)

Il vino senz'acqua (gròss); il vino con acqua (cèopìθol). La quantità di vino prodotta praticamente da ogni famiglia del paese, non era sufficiente a soddisfarne  le necessità; si otteneva una quantità di "bevanda" maggiore aggiungendo dell'acqua, normalmente in quantità uguale al vino: in questo caso si otteneva un "vino" mèdo e mèdo; altro modo di ottenere el vin cèo consisteva nel produrre, dopo il vino ricavato dalla prima vendemmia, una bevanda composta dalla spremitura di uve tardive, mescolate alle vinacce della prima vendemmia, cui si aggiungeva acqua secondo le esigenze della famiglia.  El vin cèo non aveva lunga durata: alla fine della primavera, non potendo conservarsi per la mancanza di alcool, in pochi giorni diventava imbevibile. Era un giorno triste per la famiglia, quello in cui ci si accorgeva che el vin el é drìo far la òlta (el é drìo 'ndàr a màl)

 

El vin desvampì

Il vino ossidato (svanito), che è rimasto troppo all'aria perdendo così gli aromi
 

 

'Ua mericàna, grinta, grintón; an rojòt e 'n rojotèl de ùa

Uva fragola, clinto, clintόn; un grappolo piccolo e uno piccolissimo

 

El gnén verdìfh

Diventa verdolino; quando, alla fine dell'inverno, i prati cominciano a tingersi di un verde tenue

 

Fhar fhén: segàr, slargàr, oltàr, fhar le rèle e i marùfh, restelàr, tirar su le spéle; ardìva e terfhalìn

Fienagione: falciare, spargere il fieno, girarlo, metterlo in andane e nei mucchi, rastrellare, raccogliere i resti; il secondo taglio e il terzo. Il primo taglio era el fhén per antonomasia

 

Fhén grass e magro

Fieno prodotto nei prati coltivati e nei prati stabili naturali; prodotti rispettivamente nei pra gràss  e nei pra magri, con caratteristiche qualitative e quantitative ben diverse

 

El antón

Andana ottenuta tagliando l'erba con la falce

 

La méda de fhén

Il covone di fieno. Le méde costituivano la maniera più semplice di conservare il fieno secco, che non conveniva portare, appena raccolto, nelle vicinanze della stalla, ma lasciar stagionare nel luogo di produzione: infatti c'erano tanti altri lavori d'estate, e la calura avrebbe reso le operazioni di trasporto, di per sè molto dure, del tutto insopportabili; inoltre d'inverno, con la neve, sarebbe stato più semplice il trasferimento del fieno con la slitta. Ecco allora che si costruivano questi "edifici di fieno", seguendo regole consolidate che miravano a conseguire due obiettivi: realizzare dei covoni stabili (se costruiti senz'arte si piegavano tanto da capovolgersi), e dar loro una forma tale da impedire la penetrazione dell'acqua, che avrebbe provocato la marcescenza di parte del foraggio. La scelta della zona in cui dar forma alla méda era importante, soprattutto nelle zone ripide. Nel piano bastava evitare la scelta delle zone più basse, dove l'acqua poteva ristagnare danneggiando il foraggio. Nel pendio occorreva preparare, con pala e pìc, un piano per la base. Questa, di forma circolare, veniva ricoperta da pali, fascine, rami con foglie: tutto questo prendeva il nome di frasconèra, ed aveva il compito di isolare il fieno dal terreno, per impedire all'umidità di risalire. Al centro della base, col pal de fèr, si preparava la buca, quanto più profonda tanto meglio, in cui infilare la testa del medìl. Medìl: un palo di legno, in genere un giovane péfh(peccio), di  dimensioni adeguate alla quantità di fieno da stivare: una volta finito il lavoro, il medìl poteva sporgere circa mezzo metro dalla sommità del covone; testa del medìl: la parte in cui era stato tagliato, di diametro maggiore. Funzione del medìl: costituire un'armatura in grado di guidare l'assestamento del fieno, in modo da impedire alla méda di prendere una "brutta piega"; fondamentale la sua importanza anche nella  fase di realizzazione: guida alla corretta costruzione, perché il palo doveva sempre essere verticale e al centro della zona circolare di deposito, man mano che il fieno assestato andava crescendo. Il fieno veniva passato con la forca all'esperto costruttore di méde, il quale di solito lo riponeva dosandolo a bracciate. Al diminuire della quantità di fieno da stivare, si diminuiva il raggio della superficie, e questo sempre più, a giudizio insindacabile del costruttore, finché il fieno era finito: la fase più delicata, in cui veniva realizzato el còl dela méda, che doveva essere proporzionato al resto del covone. Un restringimento troppo rapido poteva determinare una curvatura eccessiva, con probabilità più alta di penetrazione dell'acqua piovana; in tal caso si diceva, mestamente: la méda la à ciapà la gόfha (la méda ha preso la goccia).  Ma l'opera non era ancora finita, pur essendo terminato il fieno da riporre. Mentre il costruttore di méde rimaneva precariamente aggrappato alla frazione di medìl ancora sporgente dal fieno, un esperto procedeva a spelàr la méda: delicata operazione di pettinatura del covone, effettuata col rastrello. Il fieno estratto veniva ancora passato al costruttore, che lo riponeva con perizia attorno al medìl. Siamo ormai alla fase finale: la posa del filόn. Che cos'è il filόn? Letteralmente un grosso filo, una sorta di "fune di fieno", la cui creazione era di solito assegnata al più "bravo" dei ragazzi, se presente: questo cominciava a estrarre una manciata di fieno dalla parte bassa della méda, e senza  staccarla dal covone dava dei giri, sempre nello stesso senso, al fieno, che così trascinava fuori altro fieno cui si era legato: gira e gira, arrivato alla lunghezza di quasi un metro, il filόn veniva staccato dalla méda e lanciato al costruttore, che lo avvolgeva con la massima cura attorno al  medìl, e vi saliva poi sopra per farlo aderire al  còl dela méda. La funzione del filόn era impedire la discesa dell'acqua piovana lungo il medìl, deviandola sul còl dela méda: per questo era importante che fosse solidale con esso. Finalmente l'artefice della méda era libero di scendere e ammirare l'opera realizzata.
Le dimensioni di una méda variavano in un rango assai ampio: da pochi quintali (na medotèla) a oltre venti: quanto più imponenti le dimensioni, tanto più esperto doveva essere il costruttore. Anche chi stava "a terra" doveva contribuire al buon esito del lavoro, ad esempio informando su cedimenti e malformazioni della "costruzione"; esempio: "vàrda che da sta bànda qua ghe n'é na sbólda", cioè "attento, perché da questa parte c'è un rigonfiamento". Rimediare a importanti difetti era roba da specialisti: il rischio era di aggravare il problema nel tentativo di risolverlo. Se la méda cominciava a piegarsi leggermente da un lato, un costruttore privo di grande esperienza, istintivamente, cominciava a caricare più fieno dalla parte opposta; invece si doveva caricare di più proprio dalla parte del cedimento: così la massa più consistente di fieno avrebbe premuto verso il medìl raddrizzandolo.
Il termine méda non è usato solo per il fieno ammassato con la forma descritta, quella di una pera non tozza; anche le raccolte ordinate di tronchetti di legno o di fascine, a forma di parallelepipedo con parte superiore spiovente in modo da allontanare l'acqua piovana, prendevano questo nome

 

Le scotanèle

Periodi di sole particolarmente bruciante. Sono dannosi per la vegetazione, e si verificano dopo un temporale che ha spazzato le impurità dell'aria che filtravano l'effetto della radiazione solare

 

El  nifhól de fhén, el fhàss de fhén, la càrga de fhén

Fieno entro un contenitore (nifhól) ricavato unendo sacchi di juta (sac de ortìghe), fieno trattenuto mediante due funi (fàss); le due tipologie precedenti (càrga), portate sulle spalle verso il fienile o la soffitta

 

Méter el fhén sula mója entro par sot le gróne

Sistemare il fieno sugli spazi sotto le travi del tetto. Il fieno veniva portato sulle soffitte delle abitazioni, portandolo a spalle su scale a pioli o tirandolo su con la carrucola: in entrambi i casi un lavoro molto pericoloso. Veniva poi sistemato nella mόja, deposito di fieno  a forma di parallelepipedo, finché si raggiungeva il tetto: qui veniva pressato tra una trave e l'altra, per utilizzare anche il minimo spazio. Il fieno svolgeva così la funzione di isolare dal freddo dell'inverno le stanze sottostanti, di solito le camere dell'abitazione

 

L'erba la se à nletà

L'erba si è allettata

 

Marùfh

Mucchio di fieno, di forma conica, costruito per impedire che pioggia o rugiada lo bagnassero. Quando la lavorazione del foraggio era fatta a mano, il fieno -disposto in rèle (andane)-, veniva prima della sera sistemato nei marùfh, per proteggerlo da pioggia e rugiada; iniziava anche un processo di fermentazione, specie per i marùff di notevoli dimensioni, che ne accelerava l'essiccazione. Quando si prevedevano abbondanti piogge, i marùff venivano coperti con protezioni di carta o vecchi indumenti. Oggi i lavori della fienagione, attuati con mezzi meccanici, hanno decretato la fine dei marùfh e forse anche uno scadimento nella qualità dei foraggi ottenuti, ma un immenso risparmio di tempo e fatica.

 

El canèr

Covone costruito con le "cane", gli alti steli del mais. Le canne venivano prima raccolte e legate in fascine; con queste si costruiva il covone: messe quasi verticali, le fascine poggiavano in terra con la "testa" e si poggiavano l'una all'altra con la "coda" (le cime delle canne). Venivano fatti più giri di fascine, sicché il canèr assumeva un aspetto tozzo ma acquistava in stabilità: i canèr più leggeri venivano facilmente capovolti dal vento.

 

 

Pàl de fhèr

Palo di ferro; barra di ferro, di adeguata massa, e sagomata in modo da permettere la produzione, nella terra, di buchi in cui infilare i pali: lo si lascia cadere spingendo con forza la punta del pal de fer nella buca, sempre più profonda ad ogni  sua caduta. La lunghezza: circa 120-150 cm. La parte opposta alla punta, dove si tiene le mani, termina con un rigonfiamento a calotta che, una volta piantato il palo, permette la costipazione del terreno attorno ad esso per renderlo più stabile.

 

 

 Le scarfhòte

Ciò che rimane dei baccelli  secchi, dopo che sono stati tolti i fagioli

 

Le fhàcole

Con questo termine si indicavano castagne o marroni "abortiti", costituiti dal solo involucro e del tutto privi della parte edule: dalla forma della fhàcola si capisce  che è priva di contenuto

 

Le nóss chìfhe

Noci con gheriglio non sviluppato o del tutto assente

 

La panòcia,  el  mófhol,  le fhojòle

Pannocchia (di mais); tutolo; glume e glumelle (le "foglie" che avvolgono la pannocchia). I mόfhoi erano  usati come combustibile, le fhojòle venivano anche utilizzate per farcire materassi e "piumini"

 

Seménfhe, fhiorìn, fhiéss,

Semi. Il primo termine indica generici semi di dimensione ridotta; fiorìn è il miscuglio di semi che residuano dopo la movimentazione di grandi quantità di foraggio, da cui appunto essi provengono; fiéss sono semi di una certa dimensione, come quelli delle zucche (fhiéss de fhuca), delle pere e delle mele

 

Binàr   fhóje 

Raccogliere foglie, per farne la lettiera alle mucche; binàr è usato in numerose accezioni per raccogliere

 

La sàpa, el sarfhèl, la sàpa a tre dént, el solfharòl

La zappa, l'attrezzo per sarchiare, la zappa a tre denti, l'assolcatore. L'attrezzo per sarchiare più usato un tempo era la "zappa a cuore": l'operatore pianta la zappa nella terra, quindi la trascina verso di sè e sistema la terra rincalzando le piantine, in modo da renderle più stabili e offrire loro, con la terra smossa, nutrimento e possibilità di emettere nuove radici. Con la zappa a tre denti si moltiplica il lavoro, quindi la fatica; del tutto sconsigliata per levare le patate: spesso si riesce a rovinarne tre con una sola botta! L'assolcatore veniva pure usato per rincalzare le colture nei campi più estesi, trascinato da un cavallo; in particolare il mais: si parlava in tal caso di sarìr el sόrgo.

 

Codèrprìa

Porta-cote e cote. Codèr: piccolo recipiente destinato a contenere la cote (pietra con cui affilare la falce) e l'acqua, indispensabile per rendere più efficace l'affilatura; talvolta all'acqua si aggiungeva aceto per aumentarne ulteriormente l'efficacia. Inizialmente di legno, il codèr fu poi sostituito dalla lamiera. I segantìn (specialisti nel taglio dell'erba con la falce) più rinomati avevano dei codèr speciali, di solito ricavati da un lungo corno di bue svuotato all'interno; erano più pesanti e ingombranti dei tipi standard; dotati di un piccolo gancio, i codèr venivano appesi alla cintura nella parte posteriore, al fine di permettere di aver sempre a immediata disposizione la cote.

 

 

 Fhàlff,   fhalcàr

Falce e manico della falce, con le due manopole per l'impugnatura.

 

 

Bàter la fhàlff; la pianta

Batter la falce; "pianta". Seduto sul prato, l'addetto usa una piccola incudine piantata nel terreno per rinnovare il taglio (filo) della falce: batte con un apposito martello il filo consumato della falce appoggiata sulla piccola incudine (la pianta); il taglio della falce diviene così più affilato. La pianta non sprofonda nel terreno, perché due o tre espansioni laterali a forma circolare la bloccano. In queste espansioni si fissano, nei trasferimenti, il martello  e una piccola asse di legno, utilizzata per proteggere l'incudine quando si picchia col martello per affondare la pianta fino alle espansioni, dette anche "rece (orecchie) dela pianta".

 

Sta tento co tu gùsa la fhàlff!

(Stai attento quando affili la falce! Soprattutto i ragazzi erano vittime di tagli nella delicata operazione descritta)

 

Guarnàr, cavàr la grassa, starnìr, mólder, beeràr

"Governare" (le mucche), togliere il letame, spargere la lettiera, mungere, abbeverare. Il termine guarnàr si riferisce all'insieme delle operazioni che due volte al giorno, mattina e tardo pomeriggio, si eseguono per accudire le vacche, comprende quindi anche le successive. Negli anni '50 ogni famiglia aveva almeno una vacca; la vita era cadenzata da questo monotono impegno quotidiano; unica variante, di tanto in tanto, la fuga di qualche animale imbizzarrito, che spesso ne trascinava con sè altri: allora il disperato vachèr cercava aiuto gridando: "me à scampà le vàche!"

 

Slargàr la grassa

Spargere il letame nei prati, nei campi

 

Sgarbìr la grassa

Ridurre in piccole particelle i blocchi di letame, per poterlo meglio spalmare sui prati

 

Pastà, pastón, beerón

Pastone per galline, pastone per bovini, beverone per bovini. I pastoni per galline erano preparati in prevalenza con farina e semola di mais, quelli per bovini, utilizzati in casi eccezionali per recuperare animali indeboliti, con diversi tipi di cereale, a seconda delle necessità dell'animale. I beveroni contenevano gli stessi cereali dei pastoni, diluiti in acqua tiepida cui spesso si aggiungeva del vino, considerato un valido corroborante: le mucche ne erano assai ghiotte

 

Schìtt de pitasbuàfha

Stèrco di gallina; sterco di vacca

 

Levamèr; levaròl

Letamaio; canaletta in cui, nella stalla, si posavano le deiezioni che, mescolate alla lettiera, formavano la grassa, che veniva asportata una o due volte il giorno con la carriola, quindi sistemata nel levamèr, a forma di parallelepipedo: qui il letame fermentava e maturava

 

Magóncrìpia

Asse di legno -di solito un robusto castagno opportunamente trattato con l'ascia: spessore di una decina di cm e oltre, altezza almeno una ventina di cm- cui erano incatenate le mucche nelle vecchie stalle;  mangiatoia o greppia; il magόn era anche parte della crìpia. Il nome magòn deriva da magone, sofferenza provocata agli animali legati

 

Sguriàr le pite

Allontanare le galline

 

La fhiliéra

Portantina per trasporto di materiale impossibile da portare a spalla, quale ad esempio il letame. Due robuste assi longitudinali, con alle estremità le impugnature (maneghère) sagomate per essere sostenute dai due "portatori" (uno davanti, l'altro dietro), erano unite da assi trasversali su cui poteva essere posto o fissato il contenitore. Lo strumento era idoneo a portare il materiale in zone inaccessibili perfino alla carriola; al portatore a valle (quello dietro se in salita, quello davanti se in discesa) il compito più...gravoso.

 

La codìnfha

La metà di una pesca disseccata.  Alcuni tipi di frutta, negli anni di abbondanza, venivano messi a seccare per essere poi utilizzati nei freddi mesi d'inverno. Tra i più adatti le pesche, in particolare

 

Le fhariése: fhariése duràseghe, bianchère, bonorìve, salvàreghe

Le ciliegie; ciliegie a polpa dura, a polpa chiara, precoci, selvatiche (da piante non innestate). I ciliegi una quarantina d'anni fa erano rigogliosi e portavano a maturazione i loro gustosi frutti, a seconda dell'altitudine, da metà maggio (le bonorìve) a fine agosto, sui Pra de Tomàdech. I ragazzini, a gruppi, assaltavano gli alberi col gustoso frutto, in particolare quelli con produzione precoce. Oggi i pochi ciliegi rimasti sono colpiti da varie avversità, e non portano a maturazione i frutti come un tempo, se non vengono sottoposti a pesanti trattamenti.

 

La ìnima

La pertica

 

La manèra, el manarìn, la rónca, la brìtola

Scure, accetta, roncola, coltellino a serramanico. Manèra più pesante e con manico più lungo (circa 80cm) del manarìn L'ultimo termine usato scherzosamente anche per indicare il sesso femminile, per la fessura in cui trova posto la lama nella posizione di chiusura

 

El alfh

Attrezzo di ferro (spesso robusto fil di ferro) a forma di doppio gancio, per appendervi la rónca. Veniva infilato in modo che pantaloni e cintura (sotto la schiena) fungessero da sostegno, e nel gancio sporgente si infilava la rónca. In caso di caduta la rónca poteva provocare ferite da taglio.

 

Stèle, bròche da fógo

(Tronchetti di legna da ardere, già tagliati nelle giuste dimensioni e pronti per l'utilizzo)

 

Scùria; vìs'cia

Frusta; la scùria potrebbe essere di cuoio, la vis'cia è di legno sottile e flessibile; se agitata nell'aria emette un sibilo, un fischio (vìs'cia = fischia)

 

Dàrghe su a le piante

Potare gli alberi, dando colpi dal basso verso l'alto con la roncola per tagliare i piccoli rami laterali; se azionata dall'alto, la roncola avrebbe finito per danneggiare il fusto, con lo scosciamento del ramo

 

El pupp

Il bocciolo di un fiore

 

Bùt, bùtol; rebùt; butàr e rebutàr

Germoglio, piccolo germoglio appena uscito dalla gemma; nuovo germoglio, dopo l'asportazione dei precedenti, tolti o appassiti; germogliare e emettere nuovi germogli. Il termine butàr, per traslato, ha preso anche il significato di crescere, far uscire, ... Ad esempio "el tubo el bùta" ci dice che "dal tubo esce acqua"

 

Incorlàr na pianta

Capitozzare una pianta. Corlo: punto finale del tronco, da cui si dipartono i rami principali dell'albero

 

 

La segàna e la bas'ciàna

La segàna è un insieme di più fascine o tronchetti uniti nella discesa di tratti innevati in forte pendenza sulle mulattiere o sui valloni: in questo modo si riusciva a far scendere una grande quantità di legna, riducendo anche il rischio di rovinose cadute, perché diminuiva la velocità; la bas'ciàna (dove s e c hanno suono separato, non unito come in scìa) è invece ottenuta mettendo il materiale (di solito foglie) dentro frasche legate alla sommità, in modo da formare una specie di cono, che veniva poi caricato sulla slitta

 

 

El lèbo

Mangiatoia in legno o pietra, di dimensioni tali da permetterne lo spostamento; era la tipica mangiatoia per i maiali

 

TORNA

TORNACASA