LUNGO IL   BIOTìS

La "passeggiata" è interessante per l'ambiente aspro e selvaggio in cui si svolge, e per le considerazioni che a riguardo possono essere fatte. Senza forzare la si percorre in meno di due ore. Consiglio due periodi: inizio primavera oppure tardo autunno. E' inoltre indispensabile che non ci siano state precipitazioni consistenti in precedenza: si deve infatti attraversare il torrente in più punti, per evitare passaggi che richiederebbero attrezzature particolari.
Grado d'impegno richiesto: ***    Vanno utilizzate calzature robuste e con buon grado di protezione, in considerazione del percorso accidentato, con pietre, ciottoli e continue risalite sugli argini.



Dai pressi della casa Costesèle, circa 20 m a Ovest, si comincia a scendere verso il vallone sullo spigolo della collina, costeggiando nel tratto iniziale una vigna (la piccola "storica" vigna ora è stata estirpata. Febbraio 2016). Dopo un breve tratto in lieve discesa, la pendenza cresce; in vista della parete quasi verticale sull'altro versante, al margine di un boschetto con larici diventa più marcato il sentiero, che scende a sinistra e con due tornantini porta sul greto del torrente Biotìs, pochi metri a monte di un imponente sbarramento sul torrente. La profonda forra è su una faglia, che ha condizionato il corso del torrente costringendolo ad una virata verso ovest: evidente la diversa natura della roccia e dell'inclinazione degli strati sui due ripidissimi fianchi. Due gli sbarramenti, a una distanza di circa trenta metri; a monte il più imponente: costruito ad arco, per sopportare la spinta della enorme massa di materiale che ha riempito l'invaso, formando un ampio pianoro. Un sentiero, segnato come Sent. Naturalistico nella cartina sopra a sinistra, permette la risalita, sul fianco destro, in modo da superare le due serre; i tratti che superano le briglie, sul lato destro del torrente, sono pericolosi, per la presenza di detriti ed erosioni che li possono rendere scivolosi, in assenza di funi e protezioni; il sentiero risale poi l'altra sponda del torrente, fino alla strada Rasai-Valorna. Un video su YouTube relativo a questa forra: Mole  https://youtu.be/gdP6Us2XjfI
La costruzione della diga a monte deve essere iniziata in tempi remoti, per frenare la copiosa erosione operata dalle acque che la pendenza eccessivaDiga delle Mole: parte superiore; parete liscia sulla sponda sinistra rendeva tumultuose, col materiale che finiva a invadere e danneggiare il paese di Rasai; la serra è stata rialzata in più fasi: si trova una conferma nelle "notizie" dell'arciprete di Rasai G. B. Segato: "ANNO 1858-1859:  Fu eseguito il restauro e rialzo del Serraglio del torrente Biotis alla chiusa in Vallorna, per una metà a spese erariali, per l'altra a spese dei limitrofi possidenti, uniti in consorzio" (non è Valorna la località delle serre, ma "Le Mole": con gli spessi strati di roccia calcarea del fianco sinistro probabilmente si ricavavano delle mole, da cui il nome). In seguito fu costruita la briglia a valle, per impedire che l'erosione scalzasse dal basso la diga principale. Un nuovo "rialzo" intorno agli anni '30, nel caratteristico stile del "ventennio", come si nota nell'immagine a fianco; qui si vede anche parte della liscia parete sul fianco sinistro del torrente, probabilmente uno "specchio" della faglia. Evidente anche la pendenza dei conci su cui scorre l'acqua prima del salto: un motivo in più per tenersi lontani dal bordo.
Terminata l'osservazione della gola de "Le Mole" (prudenza!), si  segue l'alveo del torrente sul ripiano generato dai detriti trattenuti dalla diga, oppure si percorre una traccia di sentiero tra i cespugli sulla destra del Biotis (risalendo a sinistra). Giunti in vista di altri due modesti sbarramenti sul torrente, li si può comodamente superare risalendo a destra (riva  sinistra), dove si trovano le tracce di sentiero e i resti di una cava di roccia, utilizzata per costruire le vicine briglie. Lasciamo il sentiero e di nuovo scendiamo sul greto del torrente (seguendo il sentiero, molto ripido, si potrebbe raggiungere la strada che da Rasai porta in Valorna). Il percorso si va facendo sempre più accidentato, a causa delle pietre più voluminose e dei fianchi più ripidi, talvolta in roccia quasi verticale. In vista di un enorme masso che sembra chiudere la valle, si risale l'argine a sinistra (riva destra), per evitare le rocce di due valloni che precipitano sul Biotis dalla Costa Campiòn, il costone sopra la "strada di Valorna". Man mano che ci si avvicina alla pietra, ci si rende conto della sua enorme mole: abbiamo raggiunto il Sass del Termenòn.  Questo enorme masso, con buona probabilità, è stato trasportato in zona dal ghiacciaio della Val Cismòn, che concorreva nella vallata feltrina con quelli provenienti dal Piave e dal Cordevole; una frana di roccia, staccatasi forse dalle "Vette" o dal Totòga, diede origine al Termenòn e a vari altri grossi massi vicini, un po' più a monte del gigante: nel lungo tragitto sono stati levigati e hanno perso le originarie forme squadrate. L'immane pietra è coperta da erica, cespugli e altra vegetazione: alla sommità vive un larice più alto del medesimo Sass, e imponenti pecci.
Sass del Termenòn: lato NordSass del Termenòn: lato Ovest

Nell'immagine sopra a sinistra, il lato Nord del Sass del Termenòn, mentre in quello a destra si vede la parte sommitale del fianco ovest, rivolto al torrente: sulla destra in alto un vecchio larice, in cima un enorme peccio. Il lato Sud è lambito dal Biotìs, e ne vediamo la parte orientale e quella centrale nelle due immagini qui sotto.

Sass del Termenòn: parte orientale del lato Sud

Sass del Termenòn: Parte centrale del lato Sud

Lasciamo il Sass del Termenòn e, continuando l'escursione, risaliamo il greto e passiamo sulla riva opposta al Sass. Il torrente qui è assai tormentato, ci conviene salire più in alto per evitare dei passaggi impegnativi e scivolosi in mezzo a grossi macigni , e percorrere un tratto sulla costa, pure assai ripida. Passati a monte di uno spuntone verticale, puntiamoTronchi che intasano l'alveo del torrente nuovamente verso il greto del Biotìs, e vi scendiamo lasciando a valle due grandi macigni, non paragonabili al Termenòn, ma pure imponenti: forse suoi compagni nel millenario viaggio a cavallo del ghiacciaio. Questa parte del torrente ha subìto una profonda trasformazione negli anni trascorsi da quando, col solito gruppi di ragazzi, si percorreva in poco tempo tutto il torrente, fino al Calieròn senza incontrare difficoltà, col pretesto di cercar chiocciole perfino nei giorni di sole. In certi punti la sponda è stata profondamente erosa, in altri si è innalzata copiosamente per il deposito di grandi quantità di materiale: l'evento che ha sconvolto questo tratto di torrente, dopo il 4 novembre '66, è stata la pioggia torrenziale del 20 settembre 1999, di cui si parla in altra pagina.
Ritengo che questo tratto sia  quanto mai predisposto alla formazione di quelle "bombe d'acqua" che, in particolar modo in periodi recenti, hanno seminato lutti e distruzioni, con torrenti di fango che hanno sventrato i centri abitati. Numerosi e robusti tronchi posti di traverso nell'alveo, restringimenti con massi che fungono da blocco temporaneo, grande disponibilità di detriti d'ogni genere, riescono ad arrestare le acque che formano dei laghetti temporanei: questi poi "esplodono" per la pressione dell'acqua e col carico di fango, pietre  e tronchi travolgono la zona a valle.
Qui a fianco un'immagine dell'alveo del torrente con numerosi tronchi di traverso, precipitati per l'erosione della sponda destra: i due faggi, in fondo, sono imponenti e riuscirebbero a bloccare i detriti e deviare l'acqua, provocando altre erosioni e la caduta di altri tronchi. Immaginiamo che cosa potrebbe capitare se, in seguito a una piena rovinosa, alberi di queste dimensioni fossero trascinati fino in fondo al torrente e si ponessero di traverso sotto il ponte a Est di Rasai: l'effetto diga porterebbe  il torrente a straripare in un punto estremamente delicato, dove il torrente non potrebbe rientrare negli argini perché corre pensile rispetto al terreno circostante in entrambi i lati.

 

Tra i due massi i tronchi si incagliano e provocano effetto diga

Nell'immagine qui sopra, un luogo che sembra fatto per creare le "bombe d'acqua": due massi costringono il torrente in una strettoia, che si intasa per l'apporto di tronchi e cespugli, trattenuti dalle rocce, in occasione delle  piene; si notano infatti resti di  tronchi formanti una barriera tra le due rocce, lasciata lì da una piena.
Proseguiamo ancora qualche decina di metri, e notiamo sulla riva destra del torrente (a sinistra salendo), un sentiero con una profonda erosione nel punto in cui scende nel torrente: il sentiero  detto "tròi dele Coste" o "tròi dele Bòe", che seguiremo lasciando il vallone del Biotìs. (Il sentiero continua anche sulla riva sinistra e, dopo un bosco di faggio in lieve pendenza, con tracce di vecchie piste per esercitazioni con motocross, attraversa il prato "de Bin" con casera, e poi confluisce sulla "strada de Valorna"  che a sinistra (a monte), porta al Calieròn, a destra scende a Rasai). Con la massima attenzione, per evitare di provocare ulteriori erosioni al sentiero e di finire nel torrente con un pericoloso salto (se più persone, passare a debita distanza l'uno dall'altro per non caricare il terreno -Le brentane dell'autunno 2012 hanno ulteriormente eroso la riva: ora si deve aggirare in alto la frana per immettersi nel sentiero-), si inizia la risalita sul sentiero evidente e ben marcato, che dopo il salto iniziale diventa quasi pianeggiante. Si attraversa un terreno con giovani piante di carpino e altre varietà di piante pioniere, che per prime si diffondono sui prati e li colonizzano.


Rovine del Casòn in località le Coste: i muri perimetrali sono ancora intatti

Si intuisce così che non molti anni fa -non più di trenta- qui c'era un prato completamente privo di vegetazione arborea, se si eccettua qualche albero da frutto e una vite mericana, che ha opposto una lunga inutile resistenza a frassini e carpini, prato ricavato molti anni prima espiantando il bosco. Allora non solo il legno dei tronchi veniva utilizzato (non esistevano riscaldamenti centralizzati, e anche nelle città, se non si utilizzava il carbone, la legna era l'unico combustibile), ma anche quello dei ceppi: una volta strappati al terreno, erano fatti a pezzetti per essere anche venduti; i genitori mi parlavano "de quei che vèa a vénder fhòcc a Fheltre" (di quelli che andavano a vendere ceppi a Feltre). Naturalmente, dove c'era un prato si tagliava l'erba, e si portavano le vacche a pascolare o mangiare il fieno lì prodotto: infatti incontriamo i resti di una "pendàna" o "casòn" (i tre muri perimetrali, non più tracce del tetto) che vediamo  sopra. Pochi metri più avanti una piccola "casera" in parte pericolante e puntellata, ma non ancora crollata. La zona è denominata "le Coste". Il sentiero, con lieve pendenza, entra in una valle che ha, a monte, una zona franosa e ricca d'acqua (Val dei Còrn);  oltre questa diventa ripido e, superato un costone, entra di nuovo in una vallecola con residui di frane: per questo il luogo è chiamato "le Bòe". A monte del punto di attraversamento, una briglia sulla cui destra svetta Piramide di terra: fino a pochi anni fa la sommità era occupata da una larga pietra, che proteggeva dall'erosione delle piogge violente uno strano calanco, isolato: è chiaro che uno strato di materiale di spessore superiore all'altezza del calanco è stato asportato dalle frane in tempi non molto remoti (vedi l'immagine dello stesso nel 1985); anche a valle emerge un altro calanco, e sono presenti altre briglie che hanno ormai stabilizzato il terreno. Si risale una costa con rada vegetazione di stentati carpini e ornielli, tipici di ambiente secco e terreno non profondo, e si ha di fronte una frana imponente (Bòe de Rubìn), che si sta mangiando la sommità di una collina: anche di questa è fornita un'immagine che risale al 1985. In quest'ultimo tratto si passa accanto ad alcuni macigni di scaglia rossa, qui depositati dal ricordato ghiacciaio del Cismòn, che nella zona di Ponte d'Oltra lambì pareti di roccia di questo tipo.
I diffusi interventi di bonifica delle frane effettuati nella prima metà del secolo scorso hanno avuto successo, e il terreno non presenta nuovi smottamenti; i due calanchi che, isolati, emergono dal terreno circostante coperto di vegetazione, sono gli epigoni e la testimonianza delle antiche profonde erosioni; le numerose piccole briglie ancora intatte sono idonee a contrastare le frane; di queste, ne rimangono ancora due consistenti, la Bòa de Rubìn e quella sul fianco destro della Val dei Corn, entrambe quasi giunte alla parte sommitale delle colline attaccate.
Ancora poche decine di passi sul sentiero che si impenna negli ultimi metri, e arriviamo sul pianoro vicino alla vecchia mulattiera detta "strada bassa" (a ridosso dl monte), seguendo la quale in 1/4 d'ora si può scendere a Porcen. In poco più di cinque minuti si arriva al punto di partenza, Costesèle: si prende, a sinistra, il sentiero che sfiora il bordo della frana e passa per  Rubìn, due case  abitate nei primi anni del secolo scorso; di qui ancora a sinistra su sentiero pianeggiante, tra vecchi moronèr e giovani piante di castagno innestate di recente, perché producano marroni.
 Stupisce il fatto che la misera Italia dei governi pre e post-I guerra mondiale prima, poi l'autarchica e velleitaria Italia fascista intervenissero nella difesa del suolo in modo più deciso e razionale dei governi degli ultimi cinquant'anni, che con le loro presunte "grandi opere" (TAV, ponte di Messina, BreBeMi, Pedemontana veneta, Veneto City, ...e il MOSE!) non perdono occasione per ferire  e violentare la terra: quelli miravano al risanamento dei territori di montagna, perché di là parte tutto il materiale che provoca lo straripamento dei fiumi in pianura, questi hanno provveduto -non sempre e con gravi ritardi- solo a tamponare le falle, e non pensano a realizzare un programma di interventi per la prevenzione da eventi dannosi.  La "filosofia" dominante, fatta propria anche dalla maggioranza della popolazione, perché ad essa imposta con tutti i mezzi possibili dalle plutocrazie dominanti, è quella dello sfruttamento di ogni bene, quindi anche dell'ambiente, per trarne profitto immediato: non si pensa al furto che, così operando, si arreca alle future generazioni.

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