XX?
Eravamo maliziosi, noi allievi della scuola elementare di Porcen. Tanto maliziosi da mettere in difficoltà la Maestra Celestina. Capitò anche il giorno di primavera in cui, sul noce di fronte alla finestra al primo piano dell'edificio (lato nord), si posarono due passeri innamorati, incapaci di trattenere la loro ardente passione perfino di fronte a un'intera pluriclasse! La Maestra fu subito chiamata per dare spiegazione di ciò che conoscevamo benissimo: e cercò, in qualche modo, di sfuggire all'assedio. Ma una ragazza (forse non aveva capito la manovra diversiva della Celeste, la cara maestra Celestina Zasio) intervenne categorica: "Non sa, signora maestra, che se si vuole che dalle uova nascano i pulcini le uova devono essere ingalàte? Quel filigòt el é drio ingalàr parché sinò dai ovi no nass i oselét"
( filigòt=passero; dai ovi no nass i oselét= dalle uova non nascono gli uccellini; ingalàr=accoppiarsi di gallo e gallina).
Solo uno dei tanti episodi che evidenziano l'interesse per la sfera sessuale anche nei ragazzi dei paesini che, d'altra parte, erano ben informati, essendo a contatto con una realtà agricola in cui ogni famiglia aveva come attività fondamentale l'allevamento non solo delle galline ma anche delle vacche; la vita e le vicende degli animali diventavano termine di paragone per le persone. I bambini assistevano ai parti aiutando i vitellini a nascere, collaboravano a condurre le mucche in estro al luogo della "monta taurina"; il povero toro che doveva soddisfare (pur se pagato!) tante clienti era presso la fattoria gestita dalla famiglia Cecchìn (oggi azienda Villabruna, nei pressi del campo sportivo di Tomo).
Naturalmente queste condizioni di vita favorivano il fiorire di modi di dire e proverbi adeguati alla situazione reale.
La maggior parte dei detti e filastrocche (all'apparenza pesanti o addirittura volgari) di questa pagina, dopo esser stati sentiti a casa o -più spesso- da ragazzi più anziani, venivano tranquillamente gridati e ripetuti -talvolta fino alla noia- dai ragazzi che a Porcén frequentavano le elementari, in particolare le "elementari superiori", cioè il "piano alto" dell'edificio con l'aula pluriclasse IV e V; al pian terreno stava la pluriclasse dei "piccoli" di I, II e -talvolta- III.
Carne che se destira
no la val na lira
ma co la è ben destiràda
no ghe n’é oro che la paga!
(Carne che si dilata val poco, ma quando è ben dilatata non c'è oro che la paghi! Veniva maliziosamente recitata dalle signore porcenesi che (probabilmente) alludevano alle prestazioni di mariti, morosi, amici)
La luna la lùs
el cul l’à ‘n bùs
e chi che no crét
méte entro ‘n dét
(La luna brilla, il culo ha un buco e chi non crede ci metta un dito (Sempre pesci in faccia agli sfortunati non credenti!) Cantilena assai nota, usata talvolta addirittura come ninnananna dai fratelli più grandi che speravano di riuscire a far addormentare in fretta i più piccolini)
Vatu al bero?
oppure
Vatu al toro?
(Vai al becco? oppure Vai al toro? in altre parole hai voglia di far sesso? Veniva riferita indifferentemente a maschi e femmine)
- Mi so ‘n nìt de boaròla
con do ovi e na pistòla!
- E mi ghen so un de merlo gato
che con tre spane te lo cato!
(-Conosco un nido di ballerina bianca (boarola) contenente due uova e una pistola -E io ne conosco uno di merlo "gato" e te lo posso trovare con tre spanne)
Uno degli impegni più interessanti per i ragazzini porcenesi dopo l'arrivo della primavera, era la cerca dei nidi di uccellini. Lo scopo era assai vario: chi sperava di allevare un fringuello o un merlo o un cardellino, chi si mangiava (con la piena collaborazione della famiglia, naturalmente) i poveri nidiacei prima della loro fuga dal nido, chi infine voleva accrescere le proprie conoscenze ornitologiche; in ogni caso il cercatore di nidi acquistava un prestigio, presso i compagni, direttamente proporzionale al numero di nidi scoperti. Qualcuno però si prendeva gioco degli amici raccontando la storiella del nido di boarola, ma trovava subito pronto chi ne raccontava un'altra ancora più avvincente, e dava pure la dimostrazione del percorso che permetteva di rintracciare il nido: le tre spanne venivano misurate a partire dal naso, e giù verso il basso. Ovviamente il nìt de boarola e il nìt de merlo gato coincidevano. Il merlo gato è giustificato dalla rima con cato.
Mèdo entro e mèdo fora
parché le piégore no le mora
(Questo detto ricorreva spesso nei discorsi degli over40 porcenesi, preferibilmente maschi, col significato di "non esagerare"; doveva però provenire da altre zone, o da tempi più lontani, perché non ricordo che a Porcén fossero allevate pecore)
Piant brut
panòcia bela!
(Una brutta pianta (di mais) ha una bella pannocchia, cioè un uomo non bello è ben fornito in altri campi... il che compensa ampiamente! Veniva citata spesso dal simpatico Ernesto)
Fàghe la sópa al vecio
fàghela col butìro
che no ghe salte el tiro
ch’el se torne a maridar!
(Fai la zuppa per il vecchio, fagliela col burro, perché "no ghe salte el tiro" e torni a risposarsi. Che no ghe salte el tiro: ma ... avevano scoperto il viagra oltre 50 anni fa?)
An òn el é bón
fin che el é bón
de sofiàrse el nàss
(Un maschio è "efficiente" fintantoché riesce a soffiarsi il naso Battuta un po' ... viscida, imparata da Ferny)
Man forèsta mèda festa
(Se non è la solita mano è una mezza festa!)
Pecà de mona dio perdona
pecà de sega el se ne frega
(Se fai sesso con una donna dio ti perdona; se lo fai solitario, se ne infischia; sesso=peccato, l'antico assioma della religione cattolica; era comunque pronto il perdono, nel primo caso, dato che poteva essere all'origine di un "incremento demografico": sempre un affare per la Chiesa. Questi due ultimi detti sono probabilmente tipici della zona di Fonzaso. Da Clelia)
Vàrda che 'l'é incéro!
(Bada bene che quello è "assai prestante"; incéro (=intero) si diceva di un maschio che presumibilmente non aveva mai fatto sesso con una donna, quindi doveva essere più che mai voglioso e irruento)
Le fémene le é come i pèrsech: ghe n'é che se cén, ghe n'é che se assa
(Le donne sono di due tipi come le pesche: ci son quelle che "si tengono", ci sono quelle che "si lasciano"... I pèrsech che se assa: la loro polpa si stacca facilmente dal nocciolo (pesche spiccagnole); i pèrsech che se cén: sono caratterizzati dalla polpa che aderisce saldamente al nocciolo. Il detto veniva spesso ricordato da Caporàl.)