CANTILENE

Molte delle ”cantilene” (versetti in rima o con assonanze, brevi canzoni, nenie,...) avevano la funzione di facilitare ai bambini l’arrivo del sonno: in varie occasioni, però, finivano per svegliarli completamente, perché quelli si interessavano alle storielle e volevano sapere come andava a finire, oppure pretendevano il racconto di un’altra storia, e poi di un’altra ancora.... Altre filastrocche hanno tono canzonatorio nei riguardi della persona o della categoria cui si rivolgono.

Din dén dón

le campane de Longarón

che le sóna tanto  fhòrte

che le spàca tute le pòrte

ma le porte le è de fhèro

òlta la pagina ghe n'é el capèlo

e ‘l capèlo pien de piuma

òlta la pagina ghe n'é la luna

e la luna che sa da bón

òlta la pagina ghe né ‘l limón...

 ...    ...    ...

 (Inizio di una delle più famose ninne-nanne, di cui probabilmente esistono tante versioni quante son le madri che l'han cantata a un loro bambino. Man mano che si procedeva  oltando la pagina  si trovava sempre qualcosa di nuovo, e  le pagine sembravano non finire mai...)

 

Mai   paura

mai   passión,

mort  la  càora

resta  ‘l  moltón

(Non aver paura, non soffrire; morta la capra rimane il montone. Si può sintetizzare così: "Fatti coraggio, qualcosa di buono rimane sempre". Il problema però, è un altro: el  moltòn è qualcosa di buono? Se così non fosse, la filastrocca sarebbe amara e sarcastica: morta la capra tutto sarebbe perduto)

 

Tu sa che de là del Biotìs

i  é  ladri che tuti  lo dìs;

i  roba  marèle e fhasόi

come se i fhosse sόi.

 

(Lo sai che al di là del Biotìs son ladri che tutti lo dicono; rubano marèle (polloni di castagno) e fagioli, come se fossero di loro proprietà. Il torrente Biotìs, se si eccettua il suo tratto finale, divide il territorio di Porcén da quello di Rasài.

 Le rivalità tra paesi confinanti portavano spesso a duri contrasti e accuse. Qui un abitante di Porcén  accusa quelli di Rasài di essere dei predoni di polloni di castagno, utilizzati per costruire la struttura delle ceste (gli artigiani cestài di Rasài erano rinomati e fornivano tutti i paesi circostanti), e anche di fagioli. Il furto di fagioli era (ed è pure oggi, purtroppo) diffuso, e  avveniva anche senza interventi di personale da altri paesi.
L'autore di questi versetti non aveva però fatto i conti con la teoria della relatività: quando da ragazzi "sparavamo" questi versetti a un ragazzo di Rasài, quello prontamente replicava: "ma de là del Biotìs tu sé tì!" (di là del Biotìs sei tu!) ).

 

 

Un  nol é da dar

dói  no i é da tór

trèi  i é d’amor

quatro i  è da mati

e  fhinque da inamorati

(Uno non deve essere dato, due non devono essere ricevuti, tre son d'amore, quattro da pazzi, cinque da innamorati. Uno, due, tre, quattro, cinque...BACI!)

 

 

Maria  Maria  marìdete

che l’é la tó stajón,

tu fha le gambe grosse

tu va de stornelón

(Maria, Maria, sposati che è ora; le tue gambe si stanno ingrossando e vai qua e là senza una mèta precisa (oppure:  stai perdendo l'equilibrio))

 

 

Pomo vero

dis  el vero

chi l’è  stà

che à  chegà

sula  porta

del  palà

 vero lì

vero là

veramente

questo qua!

(Mela vera dice la verità, chi è stato a cagare sulla porta del palazzo? verolì verolà davvero questo qua. Modo originale di tràr el tòc  (tirare a sorte).  

 

 

 

El piove e el sola

el diàul el se resóla

el copa la so fhemena

e ‘l se marìda ancora

(Piove e c'è il sole, il diavolo prende il sole, uccide la sua donna e si risposa)

 

 

Manina bèla,

so sorèla,

océt bèl,

so fhradèl,

piàfha, porta, scalìn

drìn drìn drìn!

(Manina bella, sua sorella, occhietto bello, suo fratello, piazza, porta, scalino, drin drin drin! "penso per far conoscere le parti del corpo al bambino; manina bela si dice accarezzando una mano, so sorela accarezzando l'altra;e così per le orecchie e gli occhi; piafa toccando il mento, porta toccando la bocca, scalìn toccando la pelle tra il labbro superiore e il naso, drìn drìn drìn prendendo fra pollice e indice il naso e spostandolo da destra a sinistra". Così spiega Rita, che, dalla Francia, ha inviato questa e le due successive. Rita ha anche scritto: "...i fa gnér la nostalgia anca a chi penséa de no avérghen pì" riferendosi ai detti paesani ricordati in queste pagine)

 

 

Tò tòc, tò tòc cavàlo,

la mama l'é 'ndàta al bàlo

con sète cavàli bianchi

bianchi la testa bianchi la coda...

tùti dò par tèra!

(To tòc to tòc (il) cavallo, la mamma è andata al ballo con sette cavalli bianchi, bianchi la testa, bianchi la coda, ... tutti giù per terra!  Spiega Rita, a proposito di come veniva recitata questa filastrocca: "prendendo il bambino sulle ginocchia e facendolo "saltare" alzandole e abbassandole rapidamente; e poi tuti dò par tèra: aprendo le ginocchia e tenendolo per le mani, far "cadere" il bambino indietro trattenendolo alla fine". Ricordo ancora la sensazione di vuoto che si provava al momento della "caduta"; però avevo dimenticato la cantilena simile, riportata qui sotto: rimozione freudiana per tutte le paure che mi aveva causato?)

 

 

Op op cavàlo biso

el pónt che va a Treviso

el cavàl che va de tròto

quél che é su 'l é 'n bèl balòco!

(Op op cavallo bigio, il ponte che porta a Treviso, il cavallo che va al trotto, quello che sta sul cavallo è un bel balocco. E a questo punto le gambe del nonno o del genitore si aprivano, e il bambino piombava sul pavimento)

 

 

  -Onde setu 'ndàt

     -Dala nonìna

-'Sa te ala dàt

       -Polenta e late

-Gàte gàte gàte

(Dove sei andato? Dalla nonna! Che cosa ti ha dato? Polenta e latte.  Gàte gàte gàte. Polenta e latte: un piatto, anzi una scodella, assai ricorrente un tempo, utilizzava due componenti  estremamente diffuse e quasi sempre a immediata disposizione. Gàte significa fare o avere solletico. Il bambino, tenuto in braccio, ascoltava tranquillo la prima parte della filastrocca. Al "gàte gàte gàte" veniva solleticato al punto di doversi agitare. Si tratta di una nenia dagli effetti contrari a quelli di una ninnananna: svegliare il piccolo)

 

 

 

Ti che te tàca i tac

tàcheme i mé tac!

Mi che te tàche i tac a ti?

tàcheteli ti i to tac!

(Tu che attacchi i tacchi, attacca i miei tacchi! Io attaccarti i tacchi? attaccateli i tuoi tacchi! Da Rita anche questo scioglilingua)

 

Sior parón, sior parón

el se lève el fastidio dal dorso

el se méte su i culanti i tiranti e i pestafanghi,

do pal pian dei santi e su pai costacoli macoli,

che 'l rapinato el à portà el consumato.

Se l'abondànfha no la me juta la speranfha l'é persa tuta!

(Signor padrone, si tolga le coperte, si metta braghe cinture e stivali, perché giù nel piano dei santi e su per le coste il fuoco ha bruciato tutto. Se l'acqua non ci aiuta è persa ogni speranza! Nel trambusto dell'incendio il timoroso servente fa un lungo discorso per invocare l'intervento del padrone; forse temeva di indispettirlo con un banale ma più efficace "fógo, fógo!")

 

Grilo grilo fa la porta

Che to mare la è morta

E to pare l’é in presón

Grilo grilo fhormentón*

(Grillo grillo fai la porta (della tana?) perché tua madre è morta e tuo padre è in prigione, grillo grillo del grano saraceno.  *Galileo mi informa su una versione più sensata, che vede come ultimo verso par an garnèl de fhormentòn; il padre è in prigione per aver rubato un granello di saraceno)

 

 

Vàe par na strada storta,

trove na cavala morta

co la pèl me vestisse

co la carne me passisse

co le budèle fae fhento braff de cordèle,

col budelón fae an trombón,

co la budeléta fae na trombéta.

Vae de là del màr

e scominfhie a sonàr

salta fòra na vecéta

la me impién la me baréta

piéna de merda séca

che ghe à olést tre dì e tre not a farla gnér néta

(Vado per una strada con curva, trovo una cavalla morta: con la sua pelle faccio un vestito, mi nutro della sua carne, con le budella faccio cento braccia di corda, col budellone faccio un trombone, col budello piccolo faccio una trombetta. Vado di là del mare e comincio a suonare; esce una vecchietta che mi riempie il berretto di merda secca, ci son voluti tre giorni e tre notti per pulirlo)

 

 

 

Dona Marta che va sul marcà

a compràr na musséta

la musséta grìn grèn gròn

el cagnét bu bu bu

la caoréta bè bè bè

el galét chicchirichì

àlfete bèla ch'el é medodì!

(Signora Marta che va al mercato a comprare una piccola slitta che cigola (grìn grén gròn), il cane che abbaia, la capretta che bela, il gallo che canta, alzati bella ché è mezzogiornoQuesta filastrocca, come la precedente, mi è stata ricordata da Fedora e Lucio)

 

 

Vècio senfha dént

bon da sbàose e altro gnént

(Vecchio senza denti, buono a produrre bave e nient’altro)

 

Fgo moscón

létra o parón

(Il fuoco (brucia con rumore di) moscone? (arriverà una) lettera o il padrone)

 

Spifha al nàs

novità che piàs

 oppure:

spifha al nàs

o pùgn   o bàs

(Solletico al naso? novità piacevoli  Oppure, nella seconda versione:  Solletico al naso? Pugni o baci! (questi ultimi pure piacevoli))

 

 La storia del sior Vincenso

la dura poco tempo;

ótu che te la conte

o ótu che te la dìghe?

(La storia del signor Vincenzo dura poco tempo, vuoi che te la racconti o vuoi che te la dica? Se il fine di questa storiella era di mettere a tacere un bambino insaziabile di racconti, essa riusciva perfettamente nell'intento: sia che il malcapitato dicesse còntemela sia che optasse per dìmela essa continuava sempre a ripetersi uguale; la vendetta del bambino però poteva essere devastante: una notte insonne) 

 

 

- Merlo codèrlo sa  fhatu ti  là?

- Mi cante mi sùbie mi spète l’istà!

 (Merlo, che cosa fai lì? Canto, zufolo, aspetto l'estate. Coderlo: rima con merlo e dà maggior enfasi alla frase)

 

 

Cucc  cucc  dala  péna  rìfha

 cuanti  ani  òi  da  stàr par gnér   nuìfha!?

(Cucùlo, cucùlo dalla penna riccia, quanti anni devo far passare per diventare donna  da sposare? Le ragazze, cent'anni fa ma anche in tempi ben più recenti, dovevano lavorare duramente nella famiglia d'origine servendo genitori e fratelli; ecco allora che questo desiderio di matrimonio poteva significare speranza di maggior libertà e di affrancamento da “servitù” varie. Resta da spiegare perché mai l'invocazione al cucc: forse per un subconscio significato simbolico, di quanto associato a volatili e in particolare al cucc? o perché si contava il numero di cu/cu, corrispondente al numero di anni da apettare?)

 

Domàn domàn doménega

sto benedéto dì

me pàre l'é in parola

de maridarme mì

(Domani domenica, in questo benedetto giorno, mio padre ha dato la parola di concedermi il matrimonio; matrimonio, come ricordato sopra, che veniva considerato una liberazione da obblighi verso i componenti della famiglia d'origine)

 

La pitusséta pèpola

la fha tre ovi al dì.

Se no la fhusse pèpola

la ghén farèi de pì

(La gallinella pèpola (gallina di dimensioni ridotte, veniva spesso donata ai ragazzini) fa tre uova al giorno; se non fosse una pèpola ne farebbe di più)

 

Benedéta  chela  màn

che  la  fhàe  cossì  anca  domàn!

(Benedetta quella mano (che mi ha fatto del bene); e che faccia così anche domani! Qualche volta anche i proverbi, definiti frutto della saggezza, esagerano. Qui si rischia di finire nell'esaltazione del parassitismo) 

 

Me nono vècio antico

tra le gambe el à 'l nemìco,

dale bande el à la lana

e in mèdo el à la càna

(Mio nonno stravecchio tra le gambe ha il nemico, ai lati ha la lana e al centro la canna. Indovinello quasi impossibile per i bambini di una volta: si tratta del camino -antico quanto la casa- che in fondo, dove si slarga facendo pensare a gambe divaricate, ha la catena (simbolo della schiavitù, quindi il nemico), ai lati la densa fuliggine (lana) e al centro la canna fumaria)

 

 

Onta e bisonta

sot la tèra sconta

bona da magnàr

e dura da induinàr

(Unta e bisunta, nascosta sotto terra, buona da mangiare, dura da indovinare. Si tratta della patata: se tolta con terreno bagnato, è molto sporca: onta e bisonta)

 

 

La  prìa no gùsa,

la fhalf  no tàja;

l’erba se cufha,

me cufhe anca mi

(La pietra (cote) non affila, la falce non taglia;  l'erba si piega (sotto la falce senza lasciarsi tagliare), mi sdraio anch'io. In sostanza: se tutto va male, lascia perdere e rilassati. La successione di eventi sfavorevoli che ha colpito il nostro segantìn (esperto nel taglio del fieno) fa pensare alla legge di Murphy: "Se l'à da 'ndàr mal, la va 'ncora pèdo!")

 

 

Me pare e me mare

me manda a segare

la falz no la taja

la pria no la gusa

l'erba se cucia

e me cuce anca mi...

trùchete do!

(versione più completa della precedente, ricordatami da Marco Zanella: si immagini una madre che dondola in braccio il bambino, raccontando la storia del segantìn di cui sopra; al trùchete do finge di lasciarlo cadere, e il bimbo di soprassalto torna alla realtà)

 

 

El  canta 

anca  el  redèstol  en  gàbia,

no  parché  l'é  contént, 

  ma  par  la  ràbia

(Canta anche il redèstol in gabbia, non perché felice, ma perché rabbioso (Redèstol è l' Averla minore,  uccello migratore (dimensioni di un merlo) dalle abitudini crudeli: gli insetti predati vengono infilzati nelle spine di cespugli che servono da magazzino dei viveri; non sopporta la cattività).

 

 

Pierìn   Pierìn   Pieròtola

tiréghe   su  la  còtola

tiréghela  su  fhìss

parché  la  spùfha  da  pìss

(Pierino Pierino Pierottola, alzatele la gonna, sollevatela tanto, perché puzza di piscio)

 

 

Mèjo cèi e ben compìdi

che grandi e insemenìdi!

Meglio piccoli e ben fatti, che grandi e sciocchi!

 

 

Toni Roni pianta pai

copa pite e castra gai

(Toni Roni pianta pali, ammazza galline e castra galli)

 

 

-Cóssa òi da fhàr?  

                   - Ciàpa la mussa e fhàla tràr!

(-Che cosa devo fare? -Prendi la slitta e falla trascinare! Se un ragazzo faceva la domanda a chi stava lavorando ed aveva evidente bisogno di essere aiutato, la risposta non poteva che essere risentita)

 

 

 Barba Nicolò

imprestéme   quatro  ciò,

a  inciodàr  la  me  caréta,

e  menàr  la  me  moréta ,

menarla  dò  pai  trói

e  basarla  fin  che  ói.

( Zio Nicolò, prestatemi quattro chiodi, per metterli alla mia carretta, e (per poter)  portare la mia moretta, portarla giù per i sentieri, e darle tutti i baci che vorrei.  Me l'hanno ricordato Fedora e Lucio)

 

Chi é da drìo nasa

e chi é davanti tasa!

(Chi è dietro fiuta (sente l'odore), chi è davanti stia zitto. Capitava soprattutto dopo una scorpacciata di fagioli)

 

 

Tolé, ciapé,

na presa e tabaché

(Prendete, tenete una presa e tabaccate; presa de tabàc: un pizzico di tabacco "da naso", raccolto tra pollice e indice, da portare al naso aspirando con forza (tabacàr). Inevitabile uno o più sternuti)

 

 

Barba Nani, olté i bes'ciàn

Barba Tòni, oltéli ói

Barba Bepi, oltónli in tuti dói!

("Zio" Giovanni, girate (in modo che non si allontanino di più, ma tornino indietro) gli animali; "zio" Antonio, girateli voi; "zio" Giuseppe, giriamoli insieme noi due!  Zio è una termine che non rende il significato di barba, che è assai più esteso indicando persona genericamente più anziana. Alla fine il lavoro viene svolto dai due più anziani)

 

 

 

                  -Màree, la gàta me varda!

-Vàrdela anca ti

                                      -No, parché la me varda 'ncora de pì

(-Mamma! la gatta mi sta osservando!  -Osservala anche tu  -No, perché mi osserva ancor più. Questa filastrocca era una presa in giro per i bambini che coglievano tutte le occasioni per lamentarsi)

 

Dóba o  véndre a qualche ora

sinò sàbo bonóra!

(Giovedì o venerdì qualunque ora è buona, altrimenti sabato presto. A qualche ora sarà fatto; se non oggi, domani!)

 

TORNA

TORNACASA