MALDICENZE, MINACCE 

 Fino agli "anni 60", nei paesini non c'era la possibilità di sedersi davanti al televisore e subirne le "somministrazioni", la gente non si dedicava al gossip televisivo o dei giornaletti, non  ciattava né spediva o riceveva mail, non navigava nell'oceano di internet. Ecco allora che non solo i compari e le comari, ma anche gli stessi ragazzini, discutevano molto più intensamente di oggi dei fatti paesani. Si  sparlava spesso di questo e di quello, gonfiando i fatti, distorcendoli secondo  simpatie e antipatie; nascevano così detti sarcastici, nomignoli, prese in giro, battute ironiche, sentenze: le più riuscite circolavano diventando patrimonio della cultura del paese, nonché marchio indelebile per l'interessato e, talvolta, anche per i suoi discendenti. Le minacce, come al solito, avevano per destinatari i ragazzi, nella speranza, che tale rimaneva, di mettere loro le briglie.

Pan   prestà

pìnfha  rendésta

(Pane prestato, pinfha resa. Occhio per occhio, dente per dente; anzi ancor più: la "pinθa" era un dolce o pane più elaborato, perciò come dire "mi ha dato un ceffone, glie ne restituisco due")

 

 

Conterón le stanghe

co le é a bàss la val!

(Conteremo i tronchi in fondo alla valle (in corrispondenza del "cargadòr", luogo in cui caricare la slitta o il carro): vedremo alla fine quali saranno stati i risultati. Le stanghe sono i tronchi, privati dei rami e fatti scendere negli impervi valloni, per ricavarne legname da ardere o da lavoro; qualche tronco finiva lontano oltre il punto di raccolta, nei burroni, diventando irrecuperabile: per questo era insensato contare le stanghe prima del cargadór)

 

 

Cànteghen   quatro

(Cantagliene quattro: digli quel che si merita)

 

 

Dàghe na bèla tiràda de réce

(Dagli una forte tirata di orecchie)

 

 

Dàghe 'n bèl sgorlón!

(Dagli una forte scrollata!)

 

Te dàe na sbèrla che te fàe giràr come 'n sghìrlo!

(Ti do un ceffone da farti girare come una trottola!)

 

Te dàe na svìrgola!

Te dàe na téga!

(Ti do un ceffone. Ti do una legnatatéga è il baccello delle leguminose)

 

Nol à méa fàt "bìc" satu!

(Non ha mica fatto una sola parola, sai!)

 

 

El se à cavà el spìn

(Si è tolto la spina, si è levato la curiosità, la voglia, la preoccupazione, la soddisfazione)

 

 

El à tirà  na "sàlveregina"

(Ha detto una bestemmia; salve regina è una preghiera; in questo caso però l'orazione è del tutto particolare)

 

 

El à tirà na rèla de bestéme

(Ha "recitato" una sequenza di bestemmie; rèla indica, di solito, una andana di fieno, che può anche essere assai lunga)

 

El à tirà quàtro saràche

(Ha gridato quattro bestemmie )

 

Co la ghe ól la ghe ól!

(Quando ci vuole ci vuole! Si racconta che la frase sia stata detta da un parroco dopo l'audizione di una bestemmia, ma le versioni sono discordanti. Secondo alcuni la bestemmia era stata lanciata dallo stesso parroco, scivolato sul ghiaccio e prontamente ripreso da un ragazzino; altri sostengono che avesse giustificato un amico cui era sfuggita l'imprecazione)

 

El me à molà la fhìsica

(Mi ha lanciato una stregoneria, mi ha ipnotizzato. Sta ténto, ch'el te mòla la fhisica: così dicevano le madri ai ragazzini, per convincerli a tenersi lontani da persone non conosciute)

 

 

El se à tirà in forma da ròsp

(Si è ridotto nelle condizioni di un rospo; riferito per lo più a chi, avendo bevuto troppo, è ridotto in condizioni penose)

 

 

El ól star senpre par sora come 'l òjo

(Vuole stare sempre al di sopra di tutti, come l'olio. Si dice di chi vuol sempre avere ragione o primeggiare)

 

El à el cortèl dala banda del mànech

(Tiene il coltello dalla parte del manico, cioè si trova in condizione di vantaggio)

 

El à fhat i so fhén!

(Ha fatto i suoi fieni, nel senso che è riuscito a realizzare quel che riteneva conveniente (sotto qualsiasi aspetto, economico, sentimentale, ...). Far fieno era attività fondamentale: dalla quantità di fieno prodotta dipendeva il numero di vacche che potevano essere tenute nella stalla, e di conseguenza le possibilità di sopravvivenza della famiglia. Ricordato da Valerio)

 

El à da sfogàr el morbìn

(Deve lasciar sfogare il morbìn; morbìn inteso come impeto incontenibile)

 

El lo à deslatà!

(Gli ha tolto il latte; si dice di persona cui sono stati tolti i privilegi di cui godeva)

 

El ghe à catà an sac de pèche

(Gli ha trovato un sacco di difetti; pèca è un'impronta, quindi un'imperfezione)

 

El ghe à dat el mómo

(Gli ha dato il contentino. Mόmo = caramella)

 

El é an cavaliér che no fha galéta

(E' un baco da seta che non fa il bozzolo. Detto anche di chi riceve la nomina a "Cav" senza averne merito, per non aver prodotto nulla di concreto)

 

El sa tuti i pét che i à tràt

(Sa quante scorregge han tirato; in altre parole: è a conoscenza di tutti i pettegolezzi che han fatto)

 

Mi dìghe che la pi dura l'é come l'òjo

(Penso che la più dura sia come l'olio; e come si sa, l'olio è filante e morbido... Riferita a chi aveva preso un grande spavento: come si sa, la paura è un antico antidoto alla stitichezza!)

 

Ogni bel  bal  el  stufha

(Ogni bel ballo finisce per stufare: anche le cose più piacevoli, se ripetute, stancano)

 

 

Te  intòrfhe  come  na  saca!

(Minaccia davvero terribile, pronunciata quando la rabbia supera ogni limite. Ti torco come un legaccio, Ti riduco a un legaccio sfilacciato. Nessuna traduzione letterale può rendere compiutamente l'idea. 
"Saca" è una piccolo ramo o arbusto pollonante di un legno che sopporta flessione e torsione; le sache sono utilizzate nella legatura delle viti e delle fascine
Saléff (salice capitozzato, di cui sono largamente usati i ramoscelli per ligàr le vitt) e régol (viburnum lantana di cui si usano i giovani polloni) forniscono la maggior parte delle sache; anche sàngol e fràssen sono spesso utilizzati. La torsione (intorfhàr) della saca la rende ancora più flessibile di quanto non sia all'origine)

 

Te strùche; te fhàe fhar mùjo!

(Ti stringo al punto di schiacciarti; ti stringo al punto di ridurti in poltiglia. La prima veniva talvolta detta ai bambini da persone prese da un impeto d'affetto, nel senso "ti abbraccio stretto stretto". Mùjo è il condimento, il sugo. Per aumentarne l'efficacia, queste minacce erano spesso seguite da una bestemmia)

 

Vàrda che i te mét su tel giornàl!

(Guarda che ti mettono sul giornale! Attento a non finire sul giornale, se fai questo)


 

Tu  riverà  al   fhil  de  la  polenta!

(Arriverai al filo della polenta: verrai a mangiare, e sarà l'occasione per regolare i conti; in poche parole, ti prenderò per fame. Il filo della polenta è (meglio dire era) attaccato all'impugnatura del tajér (tavoliere: tavola circolare, con impugnatura sporgente da un lato) su cui si versava la polenta, e serve a tagliarne delle fette, con tipico movimento dal basso verso l'alto)

 

 

La gnerà dó la gata dal kuèrt !!

(Scenderà la gatta dal tetto! Prima o poi la situazione attuale finirà! ricordato da Valerio)

 

 

Muso dur e baréta fracàda

(Volto da cui traspare rabbia e berretto schiacciato sul capo. Il berretto così indossato lascia intravedere solo una parte del volto, quella che esprime l'ira, moltiplicando così l'effetto del muso dur)

 

 

El  se à  tirà   na   róa  su  pal  cul  

(Si è tirato un rovo sul culo, cioè si è procurato un danno)

                    

                    

Tu  te  dà  la  sàpa  dó  pài  pié

(Ti dai la zappa sui piedi; in pratica equivale al detto precedente)

 

 

'Atu che,  àtu  dormìst  col  cul  descuèrt?

(Che cos'hai, hai dormito col culo scoperto? Si dice a persona che già al mattino è irascibile e nervosa)

 

'Atu fhinì de sbaregàr?

(Hai finito di urlare? Veniva detto a un bambino che urlava per un rimprovero o per un ceffone ricevuti, nella speranza che smettesse; di solito il risultato erano urla ancora più forti)

 

Sétu drìo pesàr pér?

(Stai pesando pere? Si dice a chi, sfinito per la stanchezza, barcolla ripetutamente rischiando di addormentarsi)

 

 

Quando che l'acqua la toca 'l cul, tu inpàra a nodàr!

(Quando l'acqua ti arriva al culo, impari a nuotare! Quando ti troverai di fronte alle difficoltà, troverai il modo di superarle)

 

Sétu 'nmulà?  /  El me à portà 'l mùl na setimàna

Sei imbronciato?  / E' rimasto imbronciato con me una settimana.  Il mulo, robusto animale da soma, facilmente si adombra e impunta, diventando ingovernabile

 

 

No sta tràr tutt in vàca!

(Non "buttare tutto in vacca" equivale a "vogliamo essere un po' seri"?)

 

No sta méa far bic, sàtu!

(E non fare una sola parola!)

 

Mal  che  se   ól    no  dól

(Il male voluto non provoca dolore; se uno va a cercarsele, poi non si lamenti)

 

 

Vàrda che nol é fharina da fhar òstie

(Guarda che non è farina con cui fare particole; attento, quello è un duro. Farina da far ostie: la più delicata e pregiata)

 

Varda che no tu fhàe la taca!

Attento, che non ti venga la macchia. Veniva detto a persona che provava grande risentimento per decisioni o affermazioni negative che la riguardavano; oppure anche a chi non poteva realizzare un grande desiderio (la tàca corrisponde alla macchia che comparirà sulla pelle del nascituro, se la "voglia" della futura madre non trova soddisfazione)

 

Chi   no  màgna  à   magnà

(Chi non mangia ha mangiato; questo detto irritava assai i bimbi capricciosi che, per vendicarsi di qualche torto subìto,  rifiutavano il cibo; il proposito di questo detto era forse di abituarli  ad essere stoicamente pazienti)

 

 

In tuti se fha tùt, in tuti se màgna tùt

(Tutti assieme facciamo il lavoro, poi tutti insieme mangeremo; in altre parole: se non dai una mano salterai il pasto)

 

 

La marénda l'é 'ndàta su pal bachét

(La merenda se n'è andata su per il bacchetto. Non avrai diritto alla merenda. Veniva detta a chi si lasciava sfuggire di mano l'attrezzo da lavoro, in particolare forca o rastrello dotati di lungo manico, paragonabile a una bacchetta: sfuggiva il manico, fuggiva con esso la merenda)

 

 

Ghe ól an s'ciànt de soramànech!

(Ci vuole un po' di "sopramanico": non basta tenere un attrezzo per il manico, bisogna anche saper come tenerlo per utilizzarlo al meglio! Detto a chi usava male uno strumento qualsiasi, anche privo di...manico)

 

 

Tu magna   tafha (tant fha)   l’oselét  dal  bosch

(Mangi tanto quanto l'uccellino del bosco (scricciolo); in sostanza: se continui a mangiare così poco, finirai male)

 

 

 Fradèi cortèi

(Fratelli coltelli; odio feroce tra fratelli, paragonati a coltelli che si combattono) 

 

 

I parént i é come le scarpe, pi streti che i é pi mal i fha

(I parenti sono come le scarpe: più son stretti  più fan male)

 

 

I é un fhàmela, quelaltro pétemela!

(Sono  due buoni elementi, uno me la fa, l'altro me la attacca. Per dire che sono uno peggio dell'altro. Petàr ha il  doppio significato di picchiare e trasmettere (attaccare)

 

I créss come la prìa tel codèr

(Crescono tanto quanto la cote nel suo contenitore. La prìa è sempre immersa nell'acqua, ciononostante non cresce, anzi con l'uso frequente tende ad assottigliarsi per l'attrito con la falce. Appresa da Gualtiero)

 

I se fha la rìfha

(Fanno una gara senza esclusione di colpi)

 

A  saèr    massa,   se passa  via!

(Quando si sa troppo, si finisce con l'andar oltre. Sano invito alla modestia)

 

 

A  esser  massa  boni,  se passa da  cojóni

(Chi è troppo buono, finisce per essere considerato un coglione, uno poco furbo; ecco un detto che fotografa la dura realtà, e non ha certo un fine educativo. L'avrò sentito migliaia di volte, ma mi è tornato in mente leggendolo sul "profilo" fb di Sara P)

 

 

Come dir vècia te cufho

(Come dire "vecchia, ti spingo a terra"; si affronta un problema, e viene proposta una soluzione che non riuscirà. Cosa inutile, superflua, com'è inutile buttar a terra una vecchietta, che quasi cade da sola. Da Valerio)

 

 

 

Tamefhà   che  tamefhèa     

(Tanto mi fa, quanto mi faceva;  in altre parole, sono del tutto indifferente)

 

 

Me barba Tricolìco

con su el gilè

con via el davanti

e con fhora el dadrè

(Mio zio "Tricolico" indossa un gilé privo del davanti e che lascia uscire il didietro.  Dadrè per la rima con gilè: la forma dialettale normale sarebbe "de drìo".     "Tricolico": soprannome dato allo zio (Felice Zanella fratello di Lorenzo) di mia madre, che esercitava la professione di sarto a Porcen negli anni 1920/1930. Donato, memoria storica del paese, racconta che Felice acquistò una delle prime macchine da cucire fornite di  pedale; il monotòno sferragliare del pedale veniva accompagnato da Felice con un onomatopeico "tricolico tricolico,  tricolico tricolico, ...". Di qui il soprannome. Ma ai simpatici compaesani non bastò aver impresso questo timbro; gli attribuirono pure un originale modello di gilè, che ai nostri giorni avrebbe sicuramente enorme successo)

 

El mόu la cóa 'l can,

no pal parón,

ma par el pan

(Il cane scodinzola (muove la coda) non per festeggiare il padrone, ma per il cibo . Cattivo e lontano dal vero questo detto: per il padrone un cane, anche se affamato, fa molto più che muovere la coda! Vuol significare che se qualcuno ha fatto un bel gesto, l'ha fatto solo perché si aspetta qualcosa in cambio)

 

 

Par gnìnt no ména la cóa gnànca 'l can

(Nemmeno un cane scodinzola per niente. Se qualcuno dà un aiuto anche minimo, deve essere ricompensato. Ricordato da Francesco)

 

El gnìnt no 'l é bón gnànca pai òci

(Il nulla non è buono neanche per gli occhi. Basta una bella forma, anche vuota, per accontentare gli occhi; se manca anche quella...)

 

 

Mi   son   Bèta

dala   léngua   sc’èta

(Sono Elisabetta dalla lingua schietta: cioè, non avrò peli sulla lingua, dirò tutto. Perché proprio Beta? ma per fare rima!)

 

 

Co  ‘l  corpo se  fhrusta

 l’anema se giusta

(Quando il corpo  perde vigore, l'anima si mette a posto (l'infedele diventa bigotto). Cioè quando senti che la morte si avvicina,  la paura ti spinge a sistemare l'anima, per metterla in regola, in modo che  prenda la strada del paradiso. Ovvero: anche chi era vissuto nella dissolutezza più sfrenata diventa "fedele" quando si sente venir meno. Ho imparato questo detto dal caro caporal, il quale non tenne in nessun conto  il proverbio, spesso citato per evidenziare l'inaffidabilità di molti:  fu generosamente coerente fino alla fine)

 

 

Tégner  par  la  spina

e  molàr  pal  cocó

(Contenere (il vino) mediante la spina (della botte) e lasciarlo uscire attraverso il cocchiume; essere spilorci su piccole spese, e invece prodighi su spese ben più rilevanti e inutili. Attraverso la spina, che ha un piccolo foro regolabile, passa poco vino, mentre il "cocòn" ha una portata molte volte più grande. Questo foro sulla botte permette di lavare e pulire  l'interno della medesima)

 

 

Chi   é  in sospèto   é  in  difhèto  

(Chi si insospettisce  (dimostrando disagio), è in colpa)

    

 

Tu te lamenta del  bro  massa gràs!

(Ti lamenti del brodo troppo grasso. Ti lamenti anche se tutto ti va bene)

 

 

El à girà tant

 fha  na  fhuchèra  intorn al  levamèr

(Ha viaggiato tanto, quanto una zucca attorno al letamaio. Detto di chi è assolutamente sedentario e tanto pigro da non viaggiare né per lavoro né per diporto)

 

El à 'npiantà an fhighèr

(Ha piantato un albero di fico; equivale a "ha avuto una bambina". Sentita in treno circa 40'anni fa: due emigranti di Lamόn parlavano (anzi sparlavano) di un loro conoscente; tra le cose negative che gli venivano attribuite, anche quella di aver avuto una bambina e non un maschio. Indicatore di una forte discriminazione di genere che solo in parte oggi si è ridimensionata)

 

El à fhàt tèra da pipe

(E' morto; un modo sprezzante per dire che una persona non c'è più, si è trasformata in cenere)

 

 

El lo à ciapà par na pipa de tabàc

(Lo ha preso con l'equivalente di una pipa di tabacco; se ne è impadronito (l'ha acquistato) pagando troppo poco)

 

Pitòst de véndarlo par na pipa de tabàc, ch'el vàe reméngo!

(Piuttosto di vendere quel bene a un prezzo basso, che vada in rovina! Atteggiamento autolesionistico piuttosto presente nei nostri paesi. Talvolta tanto esasperato da arrivare alla situazione descritta nel detto seguente

 

Tu sé come quel che se à tajà i coióni, par fharghe 'n dispèto ala fhémena

(Sei come quello che si è tagliato i coglioni, per fare un dispetto alla moglie. Fare un gran male a se stessi , pur di fare un piccolo male ad altri; tanto per rimanere "in loco": filosofia del cazzo. Quant'era diversa la visione di Voltaire, che sosteneva la legittimità di "fare un piccolo male, per ricavare un grande bene"!

 

El à ciapà na bèla salatàda (... tamisàda)

(Ha preso una dura lezione. Non mi è chiaro come salatàda abbia preso questo significato negativo; in certe situazioni (culinaria) il termine indica piatti gustosi, esempio "na bèla salatàda de fasoi". La tamisàda deriva invece da tamìss, setaccio; in particolare il setaccio dei molini, che una manovella collegata al meccanismo della mola spinge rapidamente avanti e indietro per separare il fior di farina dalla crusca: essere su quel setaccio significa essere sbattuti con violenza)

 

El lo à ciapà tel cùl

(Ha preso una grossa fregatura. Traduzione ... edulcorata. Qualche volta aggiungevano pure: ...mòl come 'n ciòdo)

 

 

El é un de bóca bóna

(E' uno di bocca buona, uno che si accontenta di poco e mangia di tutto)

 

El à tirà su na mìna!

El èa adòs na sìmia !

Atu vìst che piónba ch'el èa?

(Tre modi di descrivere l'ubriacatura clamorosa di un individuo. Ancora negli "anni70" a Porcen erano aperte quattro osterie-bar, vicine a formare un quadrilatero, due a due di fronte, in modo che chi usciva da una parte era quasi costretto a entrare nell'altra. Tre di queste offrivano anche el dùgo dei bòli (campo per giocare a bocce). La visita alle osterie, rigorosamente riservata ai maschi, poteva durare anche molto a lungo, ed era accompagnata da libagioni abbondanti, in prevalenza di vino: solo i più accaniti e abituali frequentatori scolavano anche qualche cùcc de sgnàpa)

 

Chi  sparàgna

la gàta magna!

(Chi risparmia vedrà i risparmi divorati dal gatto; la gata sta sicuramente a rappresentare un personaggio sgradito, perfido)

 

 

El  badàn  che  porta  el  sàn!

(Il malato che regge la persona sana! Si dice di chi si fa aiutare da persona che si trova in condizioni ancor più precarie delle sue)

 

 

'Atu ciapà  'l tinfho  'l tànfho  la rogna  e 'l  sgrànfho?

(Ti sei beccato tifo, cattivo odore, rogna e crampo? Tutti i malanni possibili, te li sei presi)

 

 

Piànder   el   mort

par  ciavàr  el  vìu

(Far finta di essere addolorato per la perdita di una persona, e approfittare della situazione per fregare chi è rimasto vivo)

 

Come che se menèstra

se sarà menestràdi!

(Come si tratta, così si sarà trattati! Ammonimento rivolto da chi rileva comportamenti scorretti nei confronti di persone anziane)

 

Porta  skitt  in  tòla

magna merda de cagnòla

(Chi fa la spia ("porta skitt in tola"= porta deiezioni di pollo sul tavolo) mangerà cacca di cane. Modo di dire che ha il lugubre suono dell'esaltazione dell'omertà; e viceversa è chiara condanna della delazione)

 

 

No sta fharla massa fhacile!

(Non farla troppo facile; non essere facilone)

 

 

No sta cojonàr, èh!

(Non prendermi in giro!)

 

Bianca màjo!

(Bianca a maggio! Veniva detto per interrompere bruscamente le parole di altra persona, ritenute per nulla credibili ed esagerate)

 

La pìta ingorda

la crèpa el goss!

(La gallina ingorda si fa scoppiare il gozzo; gli ingordi vanno incontro a grossi rischi, prima o poi scoppieranno)

 

 

'N antro come ti, el lo à magnà el gàt

(Un altro come te, lo ha mangiato il gatto; sei unico, non è rimasto nessuno paragonabile a te)

 

 

An òrbo el à catà 'n fhèr da cavàl

(Un cieco ha trovato un ferro da cavallo; si dice di una persona baciata in fronte da fortuna non meritata, o in occasione di un evento molto raro)

 

 

El à catà la Merica en Itàlia!

(Ha trovato l'America in Italia; catàr la Merica: fare fortuna)

 

El à magnà fhóra tut

(Ha dilapidato tutti i suoi averi)

 

El à fhat  'n buss te l'acqua

(Ha fatto un lavoro inutile)

 

El é ciapà come an pìt sule stόpe

(E' mal preso come un pulcino nella stoppa. Si dice di chi non sa più che cosa fare né a chi rivolgersi)

 

El é 'ndàt tei schìt

(E' finito nella merda (schìt=sterco di gallina); è andato in rovina)

 

El é an descànta baùchi

(E' qualcosa che fa tornare alla realtà gli sciocchi. Veniva detto a chi urtava qualche spigolo nascosto, pietra sporgente... Così oltre al danno (la botta presa) anche la beffa (prendersi del baùco))

 

No 'l à gnanca 'n brùstol

(Non ha neanche una lira!)

 

Co na scarpa e na  fhavàta

(Con una scarpa e una ciabatta; si parla di persona mal presa oppure per nulla elegante)

 

I à cuatà su tut!

(Hanno nascosto tutto; hanno messo a tacere un evento che poteva essere compromettente)

 

Bòi bòi, bòi bòi, ...

(Non traducibile, la cantilena veniva ripetuta per canzonare una persona, di solito un ragazzino)

 

Cura la pipa e magna  'l  bàgol

(Pulisci la pipa e poi mastica i residui che ne hai estratto (tabacco bruciato=benzopirene!). Così si diceva per prendere in giro un bambino che si infilava le dita nel naso per scaccolarsi. Effettivamente i vecchi amanti del tabacco porcenesi si masticavano le ciche -mozziconi di sigari e sigarette- e appunto el bàgol)

 

Tu à le scarpe che fa bóche

(Hai le scarpe che fan le boccacce: perché la suola è ormai quasi del tutto staccata)

 

 

-Cossa òi da fhar?

-Ciàpa la mussa e fhàla tràr!

(-Che cosa devo fare? -prendi la slitta e trascinala! Il ragazzino che, in mezzo a gente trafelata per la gran mole di lavoro, chiede che cosa può fare, provoca una risposta irritata)

 

 

-El parón tu sé ti!

-Parón de laoràr!

(-Sei tu il "padrone"  -Padrone di lavorare! Dialogo tra chi delega una decisione a chi è più in alto, e chi cerca di attenuare il proprio ruolo)

 

Ai parói e ai matt no se ghe comanda!

(Ai padroni e ai pazzi non si danno ordini! I padroni daranno loro gli ordini, altrimenti che padroni sono!)

 

Crederàli de catàr le lugàneghe picàde su pai ram?

(Crederanno di trovare le salsicce appese ai rami degli alberi? Evidentemente erano stati illusi da qualcuno)

 

TORNA

TORNACASA