SENTIERO DELLE VERTIGINI
<<El Trói déle Stornèrie>>
La montagna di Porcen, con le sue malghe e la raccolta del foraggio fin sulle "pale" più scoscese, richiedeva la presenza e il lavoro di tante persone. La maggior parte di queste, in particolare i ragazzi e i più anziani, risiedeva stabilmente lassù nelle casère per tutto il tempo necessario a portare a termine il lavoro (fino a quattro mesi per i cafharòi impegnati nelle malghe); i giovani con altri impegni (anche amorosi), gli addetti ai rifornimenti e i padroncini delle malghe scendevano al paese più spesso, il sabato e la domenica in particolare. La strada "normale" per arrivare al Tomatico, la Strada Alta, anche se in alcuni tratti piuttosto ripida, era lunga e richiedeva troppo tempo per essere percorsa, in particolare nella discesa, quando la voglia di far presto era più intensa. Ecco allora realizzata l'alternativa di una "direttissima", una via breve tale da ridurre drasticamente il tempo della discesa. Il sentiero rispondente a questa esigenza esiste ancora oggi, ed è noto col nome di "Trói déle Stornèrie". Stornèrie sono le vertigini: rapida e vertiginosa la discesa dal Pìfh (quota 1400 circa) ai Ronchedèi sopra Porcen; vertigini possibili anche percorrendo il tratto di sentiero sullo spartiacque del contrafforte che scende dalla cima del Tomatico verso il paese, perché il versante rivolto a Tomo è davvero scosceso e precipite. Naturalmente il sentiero veniva percorso solo nella discesa; il ritorno ai "Pra de Tomàdech" e alle altre malghe, spesso con il carico dei viveri, avveniva lungo la normale Strada Alta.
Quello sopra è il panorama che ci colpisce quando, arrivati da Porcen, varchiamo lo
spartiacque dopo aver percorso la Strada Alta, oggi Alta Via degli
Eroi. La zona del passaggio di versante ha il nome
Cargadór: luogo in cui veniva caricato
sulla slitta quanto si doveva trasportare in paese, nel caso specifico il fieno
raccolto nei prati del versante sud.
Da qualche anno il Trói déle
Stornèrie ha conosciuto una riattivazione, grazie ad un gruppo di
amanti del downhill, la categoria del "ciclismo di montagna" che pratica le
spericolate discese con biciclette speciali progettate allo scopo; hanno anche
fatto il lavoro di ripulitura da ramaglie, alberi e pietre che nel lungo periodo
di abbandono avevano ostruito in vari punti il sentiero. L'unica "variante"
rispetto all'antico Trói déle
Stornèrie, per chi scende con la MTB, è la partenza dalla cima del M.
Tomatico anziché dal Cargadór.
Si può considerare come punto di partenza del trói proprio il Cargadór: una
prima parte, relativamente pianeggiante e con qualche tratto perfino in lieve
salita, attraversa quelle che venivano chiamate "Part de la Césa",
prati pascolo a Nordovest della cima del Tomatico,
che oggi sono in parte invasi da pecci, faggi e
cespugli. Segue un tratto di sentiero sul margine del contrafforte che dalla
Fhìma scende verso Porcen, non troppo ripido, facile e ricco, come il
primo, di punti da cui godere panorami superbi. Poi il sentiero entra nel bosco
con pendenza iniziale non eccessiva, ma che diviene forte più in basso.
Grado d'impegno richiesto:
***
Vanno utilizzate calzature idonee a percorsi ripidi di montagna, con brecciame,
ciottoli, radici superficiali assai insidiose. La descrizione viene fatta "in
discesa", per motivi "storici" riguardanti l'uso che del trói veniva
fatto in passato, e ancor oggi dagli appassionati "downhiller". Tuttavia per chi
lo percorre a piedi sarà più appagante il percorso in salita.
Dal Cargadór salire a sinistra, sullo spartiacque, verso la cima del
Tomatico per poche centinaia di metri, fino a quota 1510m sul ripiano che
precede la salita alla piramide della
Fhìma; si lascia il sentiero di cresta e si va a sinistra sul
margine del bosco di faggio che qui, sul
versante nord, arriva a pochi metri dalla cresta. Si continua, quasi in piano,
oltre il bosco, attraversando quelli che erano i
pascoli delle "Part de la Césa",
sulla testata di due valloni che concorrono nella Val del Fhén, valloni
separati da un dosso non difficile da superare. Questa è zona privilegiata per
la vista sul vallone principale,
sulla cresta del contrafforte (El
Pìfh) che scende dalla piramide del Tomatico e che raggiungeremo una volta
attraversati i pascoli delle "Part de la Césa", sulla conca profonda e
pianeggiante da Rasai a Fonzaso,
solcata dal bianco greto dello Stizzón, infine su
monti che a occidente orlano l'orizzonte.
Attraversato il vallone in cui si staccano, dopo
forti nevicate, grandi e devastanti
slavine, si risale lievemente a raggiungere la
cresta del contrafforte del Pìfh, e si volge a sinistra
iniziando la discesa; qui si interseca anche il sentiero che scende dalla
Fhìma del Tomatico sulla cresta del contrafforte, percorso
dagli appassionati di discesa in bicicletta: dalla vetta del monte fin qui è
molto ripido. Secondo un antico utilizzatore del sentiero, Jìjéto
Cristi, la parte più "noiosa" era il tratto dal Cargadór al Pìfh
ove inizia la vera discesa: "da là tu riva dó tei Rochedèi in vinti
minuti" afferma, riferendosi al tratto dal Pìfh fino a Porcen.
Si scende dunque sullo
spartiacque del contrafforte Tomatico-Tèla, con pendenze moderate; breve
tratto piano in corrispondenza di un'anticima
a quota 1470 circa. Sulla destra il versante è ripidissimo, con arbusti,
cespugli e balze rocciose; un filo di ferro teso tra paletti ha la funzione di
arrestare i bovini che potrebbero cadere nella
zona scoscesa. Questa zona dirupata, come quella a nord della sommità del
Tomatico, sembra essere stata coinvolta nel crollo che interessò il monte in
seguito a un violento terremoto, avvenuto nel XIV secolo; il ghiaione candido
che ci accompagna per buona parte del percorso è derivato dallo sbrecciamento
degli strati di biancone, provocato da fenomeni come fagliature e movimenti del
terreno: un'immagine sulla scarpata di
una nuova strada, sopra Pra Coàtt, evidenzia questo travaglio delle
rocce. La pendenza della
discesa si fa poi gradualmente più accentuata, con qualche attenuazione, come in
corrispondenza del Pìfh (1370m),
l'anticima che nasconde la vista del Tomatico a Porcen. Una volta superata la parte
dirupata sulla destra, si lascia il margine erboso e si
entra nel bosco, ove la pendenza aumenta;
seguono
una serie di curvette e un
tornantino a sinistra, quindi un tratto
dritto in cui si passa accanto ai resti di un'antica
fossa (1250m), deposito d'acqua per le vacche che pascolavano sui prati dei Nini. Il sentiero
scende poi rapido con varie curve fino a un bivio
(1200m):
a destra continua il classico percorso del trói, a sinistra si scende a
Pra Coàtt, finendo su uno sterrato che si stacca dalla "strada del Pìfh".
Anche il percorso normale scende sulla parte
finale dello sterrato, lo
attraversa e continua con
un breve tratto in contropendenza,
seguito da una parte decisamente ripida.
Questo è il primo attraversamento della camionabile sterrata detta
Strada del Pìfh (qui, anzi, di una
deviazione che da quella si stacca). Il tratto ripido continua con un erto
tornantino (ma come fanno a rimaner
dentro i downhiller?) e poi sempre con notevole pendenza fino al
salto sulla
strada. Il sentiero interseca la
camionabile in vari punti ma sempre sulla sua parte più a Est, dove abbonda la
presenza del brecciame bianco della maiolica; subito
sotto la strada e anche più in basso la
breccia è ben presente anche nel sentiero.
In qualche punto le foglie abbondanti possono
nascondere insidie; in breve si scende nuovamente sulla
strada, che con lieve pendenza va ad
ovest verso la piccola casera di Pra de Puìna. Si
attraversa la strada (a 1020m), bianca per
la breccia, e si scende
affrontando un tratto assai ripido fino alla successiva intersezione. Bei tratti
quasi rettilinei seguiti da
curvette, finché si incontra una
deviazione della camionabile (porta a
casera con tipico tetto a capanna) che si segue per poche
decine di metri, fino alla strada del Pìfh (990m). Ben visibile, a
sinistra, prendiamo il Trói che
scende a tagliare il tornante Est mediano della Strada del Pìfh.
Questo tratto, relativamente breve, in più punti è profondamente scavato nel
terreno e in vari tratti è disseminato di pietre
che sicuramente non agevolano il passaggio dei ciclisti specialisti della
discesa. Queste caratteristiche del sentiero sono dovute all'erosione dell'acqua
che nei periodi piovosi esce abbondante in
superficie, grazie alla presenza di strati di argilla; un
rivolo d'acqua corre nel sentiero anche ora,
anche se da tempo non piove intensamente. Ultimo tratto ripido e sassoso e siamo
ancora sulla strada (910m). Scesi
sulla scarpata sotto
la camionabile, ci attende una parte del Trói
non eccessivamente ripida, relativamente ampia e a tratti su un
solco con alti margini: testimonianza
dell'intensa frequentazione, anche con le slitte, fino agli anni '60. Il
sentiero, come si è detto, è stato ripulito e viene curato dagli appassionati
della discesa con mountain bike, ma qui sono stati lasciati di traverso degli
alberi, su un ceppo scalzato dalla neve: si passa senza difficoltà
sotto i tronchi, che così rendono l'ambiente più selvaggio. Si continua in
un suggestivo bosco ricco di noccioli, su terreno con abbondante breccia
di biancone, fino a scendere sulla
solita strada, che si attraversa per tagliare, con un segmento molto breve, il
tornante Est più basso della Strada del Pìfh. Questo
tratto del Trói è così breve che dal
punto in cui si scende sotto la strada
si intravede dove successivamente la si
interseca per la settima e... ultima volta, a una quota di poco più di 800
metri. La parte che segue non è ripida per lungo tratto
sotto la strada, ove recentemente sono
stati tagliati alberi e altri sono stati schiantati dalla neve pesante e ancora
di traverso. Nei tratti più profondi della vecchia
mulattiera si accumulano le
foglie secche; sulla destra una spianata sul contrafforte, ora a bosco rado, era
un tempo prativa (Pra da Non); prato
frequentato dalle coturnici, che di là potevano facilmente spiccare il volo, dal
momento che a valle della zona il terreno scende precipite: così ricorda
Valerio, che su questa mulattiera saliva per raggiungere Pra Coàtt. Il
sentiero affronta poi le balze ripide e rocciose di questa parte scoscesa del Tomatico con una serie di stretti tornanti scavati nella roccia anche dai
mussài, i robusti pattini di faggio delle slitte, continua poi
ripido
con curve e taglia il fianco scosceso
della montagna volgendo verso Est, a
quota 700m. In fondo al tratto lineare la
pendenza cresce, e si continua ancora
verso Est su tratti assai ripidi: siamo quasi
sopra le case isolate di Tomo alle falde del monte. Si scorge in fondo una
stretta curva a Ovest, e si
arriva alla famosa "òlta
del màtt"; da questo punto si andrà sempre
verso Occidente. Il Trói
taglia poi un pendio
assai ripido; si arriva quindi a un tratto
allargato per rendere possibile il passaggio
a trattori coi carichi di legname del bosco recentemente tagliato. Si lascia la
stradina (continuando si arriva "da Bernardo" e poi "da Giusti",
da cui rapidamente a Porcen) e si scende a destra in un bel
bosco; si supera
un'altra
sterrata scendendo in un sentiero che volge
poi a Ovest; in un tratto varie deboli
tracce, che si ricongiungono puntando sempre a
occidente. Incrocio con sentiero che, a
destra, scende a Tomo. Un ultimo tratto
contornato da vecchi cespugli di nocciolo
porta in breve al prato che precede il nucleo dei Ronchedèi. Per arrivare
a Porcen si può salire lievemente verso Giusti e poi scendere al paese, oppure
scendere alla Loèra e continuare sulla strada Tomo-Porcen.
Coloro che un tempo scendevano in fretta il "Trói déle
Stornèrie" non passavano dai Ronchedèi, ma più in alto tagliavano verso il
paese passando direttamente "da Giusti".